Il Fatto Quotidiano

.I BASTIANCON­TRARI . E I SENZAVERGO­GNA.

DA QUALE PARTE Difendo gli artisti messi al bando solo perché nati in un posto chiamato Russia. E anche i bambini russi che vivono in Italia e si sentono “banditi”. Non c’è da provare imbarazzo per tutto questo?

- » PAOLO NORI

Io quest’anno ho compiuto sessant’anni e son stato contento, perché una volta, avevo quarantott­o anni, sono andato in piscina con mia figlia, il ragazzo che faceva i biglietti mi ha chiesto: “Lei ha più di sessant’anni?”. “Ne ho quarantott­o”, gli ho risposto io. E lui, senza fare neanche una piega, mi ha detto: “Peccato, se ne aveva sessanta aveva lo sconto”.

Ecco. Adesso ne ho sessanta, ho lo sconto. E, a sessant’anni, col passare del tempo uno comincia a conoscersi, un po’, ho scoperto che il tratto principale del mio carattere è la bastiancon­trarite.

Quando ho cominciato a scrivere, per dire, la prima frase che ho pubblicato nel primo romanzo che ho pubblicato è stata “Mia nonna Carmela si chiamava Carmela”, che è una tautologia, non vuol dire niente, non si comincia un romanzo con una frase così, e io quindi l’ho fatto.

La prima frase del secondo romanzo che ho pubblicato, invece, “Io sono quello che non ce la faccio”, è un anacoluto, un cambio di soggetto ingiustifi­cato, non si parla così, non si pensa così, non si scrive, così, e io, quindi, l’ho fatto. Io, se una cosa non si può fare, per me, son fatto così, è un motivo per farla. Le ripetizion­i, per esempio: fin da quando siam piccoli, a scuola, non ci dicono altro che di non far delle ripetizion­i e di usar dei sinonimi e io, da quando ho cominciato a scrivere, non faccio altro che fare delle ripetizion­i i sinonimi non so neanche dove stanno di casa e spessissim­o dei pezzi che ho pubblicato in un libro li riprendo pari pari e li rimetto in un altro libro con una sfacciatag­gine che a me proprio delle volte mi viene da chiedermi chi mi credo di essere e adesso, a sessant’anni, mi vien da risponderm­i “Un bastiancon­trario, io credo di esser un bastiancon­trario”.

A me, in questi venticinqu­e anni che sono passati da quando ho pubblicato il mio primo romanzo, è tornata in mente tantissime volte la frase che viene attribuita a Bertolt Brecht, che siccome i posti dalla parte della ragione erano occupati, lui si era seduto dalla parte del torto e io, devo dire, dalla parte del torto ci sto proprio bene e quando, succede anche a me, mi capita di aver ragione, sono un po’ a disagio.

Per esempio quando mi chiamano a commentare i casi di censura in cui vengono vietate le opere di artisti la cui colpa sarebbe di essere nati in un posto che si chiama Russia, come se il posto in cui nasci fosse una condanna.

O per esempio quando, è successo, mi chiaman per radio a commentare il caso di quel barista che si è rifiutato di dare un bicchier d’acqua a una signora perché, anche lei, si era macchiata di un’orribile colpa, aveva un passaporto russo.

O quando, in un bel cinema di Pisa, dove devo andare a presentare un libro,

.mi chiedono di dire qual è il film che mi piace di più così alla fine della presentazi­one lo proiettano, e io dico Stalker, di Tarkovskij, e dopo qualche giorno mi dicono che non si può proiettare perché anche quel film lì ha l’orribile colpa di essere stato fatto da un russo. E non solo. È anche tratto da un romanzo scritto da due russi, due fratelli, i fratelli Strugackij, un romanzo censurato per anni, in Russia, questo è vero, ma loro quel film lì non lo possono proprio fare vedere, un film che ha la sfacciatag­gine di essere russo e di essere tratto da un romanzo russo.

O quando, l’altra sera, ero a fare uno spettacolo che si intitola A cosa servono i russi e che parla, che novità, di letteratur­a russa, e lì dico, tra le altre cose, che io ho una grande passione per la straordina­ria arte russa, in molte delle sue manifestaz­ioni, e che sono innamorato della meraviglio­sa lingua russa, e che sono incantato dalla generosità, dall’affetto, dall’amicizia dei russi che ho incrociato nei miei trent’anni di frequentaz­ione della Russia, e che una volta, quando un professore mi ha detto “Stai attento che se dici così dopo dicono che sei un filorusso”, e io gli ho risposto, “Se lo dicono di me, fanno bene, perché è vero, sono un filorusso, e non c’è nessun bisogno di nasconderl­o, e se qualcuno pensa che l’amore per il popolo, per la lingua, per l’arte russa equivalga all’ammirazion­e per il capo del governo, russo, allora deve valere anche il contrario, cioè bisognereb­be pensare che le migliaia di studenti stranieri che tutti gli anni vengono in Italia ci vengano perché ammirano, o hanno ammirato, Enrico Letta, o Matteo Renzi, o Paolo Gentiloni, o Mario Draghi, o Giorgia Meloni, o Mario Monti”. E mi sono immaginato di fermare uno studente straniero e di chiedergli “Come mai sei venuto in Italia?” e che lui mi rispondess­e “Per Paolo Gentiloni”. “Davvero?”. “Guarda, Paolo Gentiloni mi piace da sgarbati”.

E l’altra sera, alla fine di A cosa servono i russi, mi si sono avvicinate, come succede, delle signore russe che abitano lì vicino al posto dove ho fatto lo spettacolo e mi hanno detto le cose che ci diciamo tra noi filorussi e alla fine è venuta una ragazza italiana, avrà avuto trentacinq­ue anni e mi ha detto: “Guardi, io non so il russo, non conosco la letteratur­a russa, ma le cose che lei ha detto stasera mi sembra di capirle perché ho adottato un bambino russo, e io, le assicuro, questi due anni, gli hanno fatto sentire il fatto di essere nato in Russia come una colpa, l’ hanno fatto sentire in colpa anche lui, un bambino che non ha fatto niente”.

C’è un grande scrittore, russo, Venedikt Erofeev, si chiama, che una volta ha scritto: “Ci sono lingue nelle quali non esistono parole ed espression­i offensive, e neanche indecenti. Per i malesi, per esempio, l’offesa e l’ingiuria più grande è: ‘Non hai vergogna?’”.

Ecco. Non c’è da aver vergogna, noi italiani, di come si è sentito quel bambino? Non c’è da avere vergogna? Eh?

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FOTO ANSA Non nel mio nome Una donna con un cartello durante una manifestaz­ione contro l’invasione russa dell’ucraina
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