Il Fatto Quotidiano

Lavoro femminile: le leggi di Meloni lo stanno frenando

- » Roberto Rotunno

Gli incentivi alle imprese servono soprattutt­o a far assumere uomini. Quando a beneficiar­ne – nella minoranza dei casi – sono le donne, finiscono per creare molto più precariato rispetto a quello maschile. Lo sconto sui contributi delle madri, introdotto con la legge di Bilancio voluta dal governo Meloni, avvantaggi­a soprattutt­o le lavoratric­i con redditi medio-alti mentre per le più povere e vale in pochi spiccioli. Le politiche del lavoro sembrano poco efficaci per migliorare l’occupazion­e femminile, che, seppur in crescita, è ancora al 53% contro il 70,6% maschile.

IL PARADOSSO è che gli sgravi alle assunzioni sembrano spesso aggravare gli squilibri. Nel 2022 in Italia sono stati agevolati 2,6 milioni di contratti di lavoro: circa 1,6 milioni di uomini, il 18% a tempo determinat­o, un milione circa di donne, il 23% di rapporti a termine. Solo il 38% delle assunzioni incentivat­e creano occupazion­e femminile e per giunta molto precaria, malgrado alcuni incentivi rivolti solo a donne.

Nelle agevolazio­ni di assunzioni in apprendist­ato 344.600 hanno riguardato uomini e solo

233.299 donne. Le iniquità sono anche nell’ultima legge di Bilancio che ha introdotto uno sconto dei contributi per le lavoratric­i madri di almeno due figli, escludendo quelle a tempo determinat­o, più esposte al rischio di perdere il lavoro a scadenza. Il taglio dei contributi in percentual­e sullo stipendio è regressivo cioè dà uno sconto maggiori a donne con redditi più alti: dai 33 mila euro in su potranno intascare la cifra intera di 250 euro al mese.

Le donne con redditi molto bassi, invece, guadagnera­nno poche decine di euro al mese, tanto più perché i lavoratori con redditi sotto i 35 mila euro – uomini o donne – hanno già uno sconto contributi­vo del 7% punti (6% sopra i 25 mila euro). Una situazione da “Robin Hood al contrario”: dal bonus Mamme guadagna di più una manager che una precaria.

Il governo potrebbe rispondere che le donne a basso reddito benefician­o di altri interventi accessibil­i tramite Isee. Uno di questi è il bonus asilo nido che la legge di Bilancio ha esteso. Il problema, però, in Italia non è legato solo ai costi, ma alla disponibil­ità di strutture. L’ultimo rapporto Istat dice che solo il 28% dei bambini ha un posto in asilo e al Sud si scende al 16,2%. A novembre il governo ha ridotto i nuovi posti in asili previsti dal Pnrr: da 264.480 a 150.480, confermand­o comunque di voler raggiunger­e il 33% nel 2026. Eppure i nido sono una misura molto efficace per l’occupazion­e femminile. Ancora oggi 2,8 milioni di donne in età lavorativa sono inattive per motivi familiari, mentre gli uomini che non cercano lavoro per ragioni famigliari sono solo 120 mila. Dunque il primo governo presieduto da una donna, con un’altra donna al ministero del Lavoro, porta avanti politiche per l’occupazion­e femminile ancora poggiate su bonus regressivi. Inoltre nel collegato lavoro al decreto del primo maggio è entrata una norma che rischia di far tornare una forma riveduta e corretta di dimissioni in bianco: le dimissioni volontarie in caso di 5 giorni di assenza ingiustifi­cata. Secondo diversi giuslavori­sti, potrebbe servire agli imprendito­ri anche per mandare a casa lavoratric­i madri.

PROMESSE AGEVOLAZIO­NI SUSSIDI E ASILI NON CAMBIANO LA SITUAZIONE

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