Lavoro femminile: le leggi di Meloni lo stanno frenando
Gli incentivi alle imprese servono soprattutto a far assumere uomini. Quando a beneficiarne – nella minoranza dei casi – sono le donne, finiscono per creare molto più precariato rispetto a quello maschile. Lo sconto sui contributi delle madri, introdotto con la legge di Bilancio voluta dal governo Meloni, avvantaggia soprattutto le lavoratrici con redditi medio-alti mentre per le più povere e vale in pochi spiccioli. Le politiche del lavoro sembrano poco efficaci per migliorare l’occupazione femminile, che, seppur in crescita, è ancora al 53% contro il 70,6% maschile.
IL PARADOSSO è che gli sgravi alle assunzioni sembrano spesso aggravare gli squilibri. Nel 2022 in Italia sono stati agevolati 2,6 milioni di contratti di lavoro: circa 1,6 milioni di uomini, il 18% a tempo determinato, un milione circa di donne, il 23% di rapporti a termine. Solo il 38% delle assunzioni incentivate creano occupazione femminile e per giunta molto precaria, malgrado alcuni incentivi rivolti solo a donne.
Nelle agevolazioni di assunzioni in apprendistato 344.600 hanno riguardato uomini e solo
233.299 donne. Le iniquità sono anche nell’ultima legge di Bilancio che ha introdotto uno sconto dei contributi per le lavoratrici madri di almeno due figli, escludendo quelle a tempo determinato, più esposte al rischio di perdere il lavoro a scadenza. Il taglio dei contributi in percentuale sullo stipendio è regressivo cioè dà uno sconto maggiori a donne con redditi più alti: dai 33 mila euro in su potranno intascare la cifra intera di 250 euro al mese.
Le donne con redditi molto bassi, invece, guadagneranno poche decine di euro al mese, tanto più perché i lavoratori con redditi sotto i 35 mila euro – uomini o donne – hanno già uno sconto contributivo del 7% punti (6% sopra i 25 mila euro). Una situazione da “Robin Hood al contrario”: dal bonus Mamme guadagna di più una manager che una precaria.
Il governo potrebbe rispondere che le donne a basso reddito beneficiano di altri interventi accessibili tramite Isee. Uno di questi è il bonus asilo nido che la legge di Bilancio ha esteso. Il problema, però, in Italia non è legato solo ai costi, ma alla disponibilità di strutture. L’ultimo rapporto Istat dice che solo il 28% dei bambini ha un posto in asilo e al Sud si scende al 16,2%. A novembre il governo ha ridotto i nuovi posti in asili previsti dal Pnrr: da 264.480 a 150.480, confermando comunque di voler raggiungere il 33% nel 2026. Eppure i nido sono una misura molto efficace per l’occupazione femminile. Ancora oggi 2,8 milioni di donne in età lavorativa sono inattive per motivi familiari, mentre gli uomini che non cercano lavoro per ragioni famigliari sono solo 120 mila. Dunque il primo governo presieduto da una donna, con un’altra donna al ministero del Lavoro, porta avanti politiche per l’occupazione femminile ancora poggiate su bonus regressivi. Inoltre nel collegato lavoro al decreto del primo maggio è entrata una norma che rischia di far tornare una forma riveduta e corretta di dimissioni in bianco: le dimissioni volontarie in caso di 5 giorni di assenza ingiustificata. Secondo diversi giuslavoristi, potrebbe servire agli imprenditori anche per mandare a casa lavoratrici madri.
PROMESSE AGEVOLAZIONI SUSSIDI E ASILI NON CAMBIANO LA SITUAZIONE