Nordio e destra scatenati “Serve una commissione d’inchiesta”. Però c’è già
Accessi Il ministro ignora l’organismo di Colosimo. Tajani e Costa lo gelano: “No carrozzoni”. E il Csm non convoca Laudati
“Ènecessaria una commissione d’inchiesta” parlamentare, in quanto “siamo arrivati a un punto di non ritorno”. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ha dubbi: anche se in Procura a Perugia c’è un’indagine ancora in corso sulle decine di migliaia di accessi abusivi alle banche dati della Direzione nazionale Antimafia, i parlamentari devono utilizzare i loro poteri ispettivi per fare chiarezza. Concetto su cui ieri ha trovato l’immediata piena approvazione dell’ex premier Matteo Renzi. Peccato che sulla vicenda abbia già iniziato a lavorare la Commissione antimafia guidata dalla deputata di FDI, Chiara Colosimo, che in settimana ha audito il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, e il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone. Commissione questa che, per definizione, è anche “di inchiesta”. Dunque un ulteriore organo ispettivo sarebbe semplicemente ridondante. A farlo notare, seppur con un certo garbo, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: “È certo che bisogna scoprire la verità, ma vediamo qual è la forma: c’è già la commissione Antimafia che ha poteri come l’autorità giudiziaria. E poi c’è la magistratura”. Più diretto il deputato di Azione, Enrico Costa, che ritiene la proposta di Nordio “intempestiva” perché “confonde”.
D’ALTRA PARTE,
come noto, la commissione guidata da Colosimo ha già avviato i suoi lavori. E nei primissimi giorni della prossima settimana sarà stilato un calendario con le prossime audizioni. La lista provvisoria per ora è troppo lunga e andrà sfoltita, perché altrimenti rischierebbe di fagocitare la Commissione. Per ora l’elenco comprende le “disponibilità”, come quella avanzata dal ministro della Difesa, Guido Crosetto – l’inchiesta di Perugia nasce da un suo esposto – e le richieste dei partiti. Si ragiona sulla convocazione, tra gli altri, del procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, di rappresentanti dell’uif di Banca d’italia e dell’ordine dei giornalisti, e pure, su richiesta di Forza Italia, di quella di Carlo De Benedetti, ex editore di Repubblica e oggi proprietario di Domani. Di certo, per non intralciare l’inchiesta, non saranno sentiti né i giornalisti indagati, né tantomeno il finanziere Pasquale Striano e il pm Antonio Laudati, i due pubblici ufficiali che rispondono del reato di accesso abusivo, nonostante questi ultimi avessero dato disponibilità a rispondere alle domande dei parlamentari.
La maggioranza, d’altronde, è scatenata e vorrebbe subito risposte. In primis la premier Giorgia Meloni, che ieri a Rete 4 ha detto: “Sono metodi che si usano nei regimi, è una cosa gravissima, penso più ampia di quanto stiamo vedendo” e dunque “si deve andare fino in fondo, serve capire chi sono i mandanti, conoscerne nome e cognome”.
SE LA COMMISSIONE
Antimafia e il Copasir si sono già attivati, al Csm, invece, approfondire la vicenda non pare una priorità. Delle tre istituzioni a cui hanno scritto Melillo e Cantone, chiedendo di poter riferire “con l’urgenza del caso”, l’organo di autogoverno delle toghe è l’unica a non averli ancora ascoltati. Anzi, a non aver fissato nemmeno una data per farlo. “Il Csm valuterà se e quando sentirci, noi ci siamo messi a disposizione”, ha detto Cantone l’altro ieri al termine dell'audizione in Antimafia. Ma a palazzo dei Marescialli, a quanto risulta al Fatto, sulla questione si sta facendo melina. A prendere l’iniziativa dovrebbe essere il Comitato di presidenza: ne fanno parte il vicepresidente del Consiglio Fabio Pinelli, avvocato in quota leghista, e i due magistrati al vertice della Corte di Cassazione, la prima presidente Margherita Cassano e il procuratore generale Luigi Salvato. Dopo aver ricevuto la lettera, cioè sabato o al più tardi domenica scorsa, Pinelli non ha però ritenuto di convocare il comitato. Raggiunto dal Fatto, il vicepresidente taglia corto: “Non intendo dire nulla”.
Come mai questi tentennamenti? Tra le possibili motivazioni c’è la presenza nell’inchiesta di Laudati, il pm della Dna indagato come ispiratore di alcuni dei presunti accessi abusivi realizzati da Striano. Accuse che in parte imbarazzano la maggioranza di centrodestra che controlla il plenum. Laudati, infatti, ex procuratore di Bari, è un esponente storico di Magistratura indipendente, corrente conservatrice molto vicina all’attuale governo, di cui fa parte anche la presidente della Cassazione Cassano.
Antimafia Crosetto ieri ha dato la “disponibilità” a essere ascoltato In lista l’uif di Bankitalia, ma Forza Italia vuole convocare De Benedetti
poi assolti, evocano la “macchina del fango”. Che sia in corso un processo, e che Suarez sia stato promosso all’esame di italiano dicendo “bambino-porta-cococomera” non conta. Conta solo il “come”.
In questo delirio di opinioni, mette un punto il direttore de Il Domani, il giornale di De Benedetti nel mirino per aver attinto notizie riservate dalla gola profonda che mangiava pane e Sos. Dai microfoni di Giù la maschera Emiliano Fittipaldi replica alle accuse del centrodestra di aver perseguito obiettivi politici: “Noi abbiamo fatto inchieste su tutti i partiti, e ci picchiamo di farne anche sulla sinistra”. E giù i titoli: Letta e le consulenze in Francia, Renzi e i soldi da Dubai, Tabacci e il figlio a Leonardo etc. “I giornali di destra lo sanno: erano i primi a rilanciarle”.
Prende la parola Claudio Borghi, senatore della Lega, membro del Copasir, uno degli attenzionati dal tenente della Gdf. Cita la “trappola del Metropol ai danni della
Lega”. I giornalisti de Il Domani erano stati chiamati per documentare l’accordo sul petrolio “che poi saltò”, dice Borghi. Il fatto che la Lega si presentò a quel tavolo per discuterlo non conta, il “cosa” svanisce, resta il “come”. Spiega la sua indignazione con un esempio. “Se io avessi fatto qualcosa, pur lecito, ma che finiva all’interno delle segnalazioni sospette, perché magari compravo un quadro, non succedeva nulla. Se vista da Striano e altri della supposta banda, avrei avuto un titolo a 9 colonne “vorticosi movimenti di contanti nel mirino dell’antiriciclaggio”. Non è successo, ma non conta. La parola “quadri” chiama Sgarbi. “Sono io la prima vittima del dossieraggio!”, ha rivendicato due giorni fa chiedendo ai magistrati di far luce sull'inchiesta del Fatto culminata con le sue dimissioni. Non risulta in lista, il “dossier” di cui parla fu recapitato a Meloni e al ministro Sangiuliano. Per far luce sul suo caso non serve una candela, basta togliere il fumo.