OLIMPIADI, GAS E NO SANZIONI: QUANDO IL PD RIVERIVA PUTIN Costruire l’identità europea contro la Russia è per noi un’assurdità
DOVREBBERO SANZIONARSI DA SOLI Dem Letta volava a Sochi, Renzi onorava lo zar a Expo e Gentiloni bocciava l’ucraina nella Nato
Le sanzioni son o “i n u t i l i ”, con la Russia c’è “amicizia” e “l’isolazionismo” del Cremlino è stato “incoraggiato da scelte discutibili di Europa e Stati Uniti”. Nell’ora del tiro al bersaglio contro Jorit (“sanzioni!”), il Pd e i centristi dimenticano quando erano loro a sussurrare “com’è umano, lei” dinanzi a Vladimir Putin. Certo, si potrà sempre sostenere che ci sia un prima e un dopo l’invasione dell’ucraina, ma basta davvero a scagionare i dem da ogni esame di coscienza? Eppure Putin era già Putin (con tanto di repressione interna e guerre in Cecenia e Georgia) nel 2015 o nel 2016, negli anni cioè in cui il Pd – governi Renzi e Gentiloni – si agitava per recuperare il dialogo con Mosca e rivedere le sanzioni imposte dall’ue.
Giova allora ricordare qualche episodio. Il 26 novembre 2013 il premier Enrico Letta riceve Putin a Trieste e firma decine di intese commerciali. Il presidente del Consiglio ringrazia per “la disponibilità, l’amicizia e la voglia di cooperare insieme” e lo zar ricambia invitandolo alle Olimpiadi invernali di Sochi previste per l’anno successivo. Molti grandi del mondo – da Barack Obama ad Angela Merkel, ma pure David Camerone e François Hollande – disertano il torneo in polemica con le politiche discriminatorie di Putin contro gli omosessuali, visto che il Cremlino ha appena approvato norme severissime, incluso il carcere per chi fa “propaganda lgbtq” (i confini del reato, come si può facilmente intuire, non sono certo da Paese arcobaleno).
LETTA INVECE mette il cappotto pesante, parte per il Krasnodar e lo rivendica in una lettera al Corriere: “Lo sport non è politica”, dice, e soprattutto c’è una ragione molto pratica: “Parlerò coi capi di Stato e di governo, con quanti avranno la responsabilità di valutare la possibile candidatura olimpica di Roma 2024. È indispensabile guadagnare credibilità”.
Letta, ahilui, non farà in tempo a godersi granché gli slalom giganti e il curling perché sei giorni più tardi Matteo Renzi gli sfilerà la poltrona a Palazzo Chigi.
È l’inizio di un’altra grande storia di “amicizia”, tanto è vero che l’italia e la Russia fanno affari d’oro soprattutto su gas e armi. Renzi incontra Putin il 5 marzo 2015 e poi, a giugno, il presidente russo visita l’expo di Milano. Renzi è raggiante: “Lo accolgo con grande gioia”. I problemi ci sono – “viviamo in un quadro internazionale difficile” è la perifrasi per non citare la guerra nel Donbass – ma bisogna fare uno sforzo per superarli: “Lavoreremo insieme per ripartire dalla tradizionale amicizia Italia-russia”. In quei mesi Renzi parla due volte al Foglio e ribadisce concetti simili: “Dobbiamo metterci in testa che avere la Russia a bordo della comunità internazionale è importante”. E ancora: “La Russia ha un ruolo strategico, biso
gna mediare, nessuno può avere un interesse vero a mettere in ginocchio la Russia”.
A NOVEMBRE, Renzi viene intervistato da Mario Calabresi, il quale gli chiede se possiamo fidarci di Putin. Risposta: “Sì. Nessuno nella comunità internazionale può immaginare di costruire l’identità europea contro il vicino di casa più grande. Costruire l’identità europea contro la Russia è un’assurdità”.
Dopo il tonfo al referendum, al posto di Renzi arriverà Paolo Gentiloni. Un altro le cui idee sul Cremlino erano già molto chiare, espresse nientemeno che da ministro degli Esteri negli anni precedenti. Come quando, nel 2015, La Stampa riassume con un titolo a tutta pagina il suo pensiero: “L’italia non può chiudere le porte alla Russia”. Svolgimento: “L’italia sostiene Kiev”, questo è chiaro, però “riteniamo occorra non chiudere le porte alla Russia”, bisogna “mantenere aperti i canali con Mosca”, anche perché “non sfugge il ruolo della Russia nella gestione delle crisi internazionali”. Ancor più netto, quasi profetico, al Corriere: “L’ucraina non fa parte della Nato e l’italia dà per scontata questa non appartenenza anche per il futuro. Occorre garantire l’autonomia di Kiev, ma anche il ruolo di un grande Paese come la Russia”. Poi, alla Stampa: “L’UE non sia un rubinetto di sanzioni”.
E Carlo Calenda? Altro mastino sempre a caccia di putiniani, da ministro dello Sviluppo economico nel 2016 vola a San Pietroburgo e rende l’idea dell’atteggiamento italiano: “Qui ci sono tutte le grandi aziende, il presidente del Consiglio, il ministro, le associazioni economiche, le banche. Più di così non potevamo portare, dovevamo traslocare il Colosseo”.
D’altra parte “nessuna grande azienda italiana ha mai chiuso bottega in Russia, in qualunque circostanza, e questo è il segno di una amicizia”.
NON MANCA all’appello Roberta Pinotti, a lungo ministra della Difesa col Pd. È il 24 luglio 2014 quando al Foglio ricorda le colpe storiche di Usa e Ue nei confronti di Mosca: “Bisogna riconoscere che l’isolazionismo della Russia è stato incoraggiato da alcune scelte discutibili di Europa e Stati Uniti. Oggi rischia di essere complicato ricucire”.
Con questi uomini di governo, il resto del partito poteva solo allinearsi. Non sorprendono allora le varie dichiarazioni qui riportate in ordine sparso. Come quella di Patrizia Toia, tutt’oggi europarlamentare Pd: “Mosca resta un partner strategico e questo implica il rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale e richiede alla Russia di giocare un ruolo di stabilizzazione” (10 giugno 2015). Paolo De Castro, altro europarlamentare: “Le sanzioni alla Russia non servono a niente. L’embargo danneggia tutti e porta alla distruzione delle derrate alimentari occidentali” (27 agosto 2015). Gianni Pittella, ancora da Bruxelles, invoca l’aiuto di Mosca per sconfiggere l’isis: “Bisogna lavorare a un’ampia alleanza che coinvolga Russia, Usa, Iran e Lega Araba per agire in Siria” (15 novembre 2015). Sintesi: che sia per le imprese, per le Olimpiadi o per combattere altri nemici, l’amico Putin serve eccome.