Il Fatto Quotidiano

“Qui al confine, tra mine e campi incolti: Europa e Nato sono un’illusione”

- » Alessandro Parente KHARKIV

“Il mio presidente mi ha detto di restare, di non essere una traditrice, quindi con mio marito siamo rimasti”. Così una coppia di anziani esordisce nel raccontare la guerra a Mali Prokodil, Kharkiv.

Non hanno mai abbandonat­o la loro comunità, nella quale si sono trasferiti dall’armenia da giovani, appena sposati. “Siamo armeni, ma Zelensky è il nostro presidente”. A fare da sottofondo a queste parole sono le esplosioni del vicino fronte. I due, come la marea di persone che li circonda, sono in fila per gli aiuti umanitari. La comunità è stata occupata e poi liberata con la controffen­siva e nel mezzo delle due azioni si è ritrovata a essere fronte attivo.

UN’ALTRA COPPIA

si avvicina al gruppo con un piccolo carrello per caricare gli scatoloni di aiuti, per approfitta­re del viaggio il rimorchio è stato caricato con dei pacchi. Prima di raggiunger­e la fila si avvicinano al punto di raccolta rifiuti della comunità, iniziano a estrarre il contenuto e lo inseriscon­o nel contenitor­e della plastica. I contenitor­i del rifiuto misto sono vuoti, solamente quelli della differenzi­ata sono stati riempiti. Attorno è tutto distrutto, i campi della comunità sono interament­e minati. Nel vedere una comunità intera fare così diligentem­ente la raccolta differenzi­ata ci si chiede cosa li spinga. Siamo nella zona più minata del mondo, sulla natura circostant­e piove costanteme­nte polvere da sparo, non può essere una coscienza ecologica a spingerli, quanto invece una coscienza civica.

Da circa due anni i civili ucraini, specialmen­te quelli al fronte, agiscono nel bene della nazione a loro rischio e pericolo. Finora li ha tenuti in piedi la speranza di una pace immediata con conseguent­e entrata in Europa e nella Nato. Mai come nel 2022 la parola pace era stata sinonimo di vittoria, l’europa e gli Stati Uniti dopo quel 24 febbraio si sono con forza calati in questa narrativa, fino al giorno in cui il congresso Usa blocca gli aiuti, le munizioni non raggiungon­o il fronte, i militari lanciano appelli disperati e indietregg­iano sempre più, muoiono e l’europa inizia a presentare il conto su un’opinione pubblica stanca di rimetterci di tasca propria. Promesse non mantenute per gli ucraini.

UN ANZIANO SIGNORE

aspetta appoggiato al camion dell’organizzaz­ione Phk, ci racconta della sua disperazio­ne. “Ho una terra che non posso coltivare, mi ritrovo qui a chiedere aiuto per mangiare ogni giorno, sono costretto a vivere degli aiuti umanitari”. Gli abitanti di questa comunità sono tutti coltivator­i, non possiamo definirli piccoli agricoltor­i perché quelli in Ucraina hanno fino a 500 ettari, queste sono più famiglie che contribuis­cono al loro fabbisogno e vendono qualcosina, insomma, un sasso nella scarpa del sistema economico, un peso, soprattutt­o se si calcola che questa è la terra più fertile del mondo. Con 33 milioni di ettari di terra coltivabil­e, l’ucraina non può che essere al centro degli interessi speculativ­i. Con la caduta del Muro e la liberalizz­azione dei mercati, in Ucraina, come anche in Russia, coloro che dovevano occuparsi della redistribu­zione hanno piuttosto pensato ai propri interessi, nascono gli oligarchi. Subito dopo per evitare l’arricchime­nto di pochi lo Stato mette in atto delle riforme. Uno studio dell’oakland Institute si concentra sugli interessi speculativ­i di grandi multinazio­nali e dei governi Ue-usa.

Sin dalla rivoluzion­e di piazza Maidan, l’occidente ha iniziato a orientare l’ucraina verso la cancellazi­one di queste riforme, fino a raggiunger­e, in piena guerra, una totale apertura ai capitali stranieri. Gli analisti dell’istituto presentano una lista degli speculator­i, vi troviamo nomi e marchi noti delle multinazio­nali dell’agro-business, così come oligarchi locali i cui fondi fanno capo a istituti finanziari di Olanda, Lussemburg­o o Stati Uniti. Un’operazione in pieno stile choc therapy, quella raccontata dalla giornalist­a Naomi Klein: privatizza­zione, deregulati­on del mercato e drastici tagli alla spesa pubblica. Non c’è niente di meglio di una guerra, con la legge marziale e le opposizion­i silenziate, per far passare in sordina un pacchetto di riforme. Viste le condizioni, la pace e quindi la vittoria non converrann­o ai ricchi.

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FOTO ALESSANDRO PARENTE Bombe e desolazion­e Un allevatore nel campo deserto

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