CHE GRAN TRAGICOMMEDIA LA VITA DELL’ITALIANO MEDIO
A 27 anni dall’opera “cult”, Virzì firma “Un altro Ferragosto”, tra social e fascismo
OPERAZIONE COMPLESSA perché a elevato rischio derivativo, Un altro Ferragosto (in sala) segnala invece una delle migliori prove ideative degli ultimi anni di Paolo Virzì, un film in cui la propria regia e soprattutto scrittura accanto al fratello Carlo e al sodale Francesco Bruni impreziosiscono i “27 anni dopo” delle osannate Ferie d’agosto.
Sulla selvaggia Ventotene ritroviamo le “tribù” degli intellettuali sinistrorsi Molino e dei cafoni ignoranti Mazzalupi: coi “vecchi” protagonisti sbarcano i loro figli, nipoti, una surreale umanità di vedovi, coniugi, fidanzati, ex. Se per i primi l’occasione della reunion familiare è il saluto al moribondo capostipite Sandro, per i secondi è il matrimonio di Sabrina, suo malgrado diventata nota influencer, con un coatto approfittatore. Fra i quasi tutti presenti eroi del 1996 (a eccezione dei compianti Fantastichini e Natoli) spiccano perfette le new entry Carpenzano, Marchioni e Fanelli. Con Un altro Ferragosto Virzì va oltre la chiusa di un dittico, informando un manifesto malinconico di quella tragicommedia che è la vita, con tutti i suoi flashback. L’implacabile decorso del tempo coi suoi detriti di memoria storica e valoriale, la definitiva scomparsa delle ideologie a favore dell’individualismo consumistico, già abbozzato nel primo film, qui è peggiorata dall’ossessivo utilizzo dei social: sul trionfo dell’apparire non può che affermarsi la tragedia dell’incomunicabilità, punto nevralgico del film. C’eravamo tanto amati girava Scola, ma anche odiati, traditi, smarriti aggiunge Virzì. Le disfunzioni personali e relazionali dei personaggi si specchiano nell’oblio della Storia di questo Paese, motivo per cui il regista colloca nell’agonico Sandro il ricordo vivo (e visivo) dei confinati a Ventotene, per non dimenticare.