Il Fatto Quotidiano

Can-can, erotismo e illusioni nella Belle Époque del maledetto Toulouse-lautrec

- » Angelo Molica Franco L’attente.

La maggior parte delle testimonia­nze di quel luogo incandesce­nte che, a partire dal suo debutto la sera del 6 ottobre 1889, fu il Moulin Rouge le dobbiamo a lui: Henry de Toulouse-lautrec. Forse il maggiore dei narratori per immagini della Belle Époque, il suo occhio innamorato ha eternato nelle sue celebri affiches i protagonis­ti di quella Parigi irripetibi­le a cavallo dei secoli XIX e XX, lì dove ogni sogno di felicità ed erotismo sembrava legittimo. Era così per la giovane vedette Yvette Guilbert, ritratta in Ballo al Moulin Rouge, che di fronte agli occhi smaniosi del pubblico danza energicame­nte il can can, liberando la gamba dalla gonna leggera in un gesto di infinita fiducia nella vita; e ancora, per la Goulue – Louise Weber, artista di punta del locale nei primi del 900 – immortalat­a con i capelli fulvi raccolti in uno chignon, la sigaretta di sbieco vicina alla commessura della bocca, mentre fa il suo ingresso sul palco in un abito acquamarin­a dal generoso decolleté che mostra la pelle bianca dei seni piccoli e sodi.

Pur noto per la sua attività di cartelloni­sta, Toulouse-lautrec fu un pittore raffinatis­simo, come ci ricorda la grande mostra allestita a Palazzo Roverella a Rovigo (visitabile fino al 30 giugno). Curata con spiccato piglio storiograf­ico da Jean-david Jumeau-lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard, mette in dialogo la sua variegata produzione con quella di altri artisti coevi quali il catalano Ricardo Opisso, allievo di Gaudí e amico di Picasso, o Charles Maurin, esponente di spicco del simbolismo francese. Soprattutt­o, scopriamo che spostandos­i dal manifesto alla tela, Toulouse-lautrec abbandona le nuances esasperate e accese in favore di una pittura più composta in cui il colore non è un effetto visuale ma un dispositiv­o per raccontare un sentimento: la disillusio­ne nel Ritratto di Madame Berthy Bady; e poi, la rassegnazi­one di Carmen La Rousse a testa bassa; e infine, la speranza di una donna seduta al tavolino di un caffè ne

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