Abruzzo, decide l’affluenza I rischi per Meloni e nemici
L’affluenza, il voto di opinione a Pescara e le percentuali del fortino nero a L’aquila. Intorno a queste tre variabili si gioca la sfida d’abruzzo. Oggi – dalle 7 alle 23 – la Regione deve scegliere se confermare il presidente uscente, Marco Marsilio (FDI, stretta cerchia di Giorgia Meloni), sostenuto da tutto il centrodestra o scommettere su Luciano D’amico, l’ex Rettore dell’università di Teramo, appoggiato da un campo larghissimo, che va da Alleanza Verdi/sinistra a Italia Viva. E questa è la dinamica più profonda: da una parte, c’è un candidato vicinissimo al governo nazionale, dall’altro l’esperimento unitario di forze politiche diverse tra loro. La partecipazione sarà decisiva: più gente va a votare, più aumentano le possibilità dello sfidante D’amico. Nel 2019, quando gli abruzzesi scelsero Marsilio contro Giovanni Legnini, l’astensione fu del 47%. Per mesi la battaglia è sembrata chiusissima, con un pronostico nettamente favorevole a Marsilio. Che sarebbe ancora solo leggermente avanti. A L’aquila, collegio elettorale della premier, guidata dal 2017 da Pierluigi Biondi, anche lui FDI, che ha continuato senza sosta a chiedere (e ricevere) soldi per la ricostruzione dopo il terremoto (siano stati o meno spesi e spesi bene), il centrosinistra deve reggere. A Pescara, l’unica vera area urbana della regione, conta il voto di opinione. A Chieti e a Teramo stando ai numeri – segretissimi – delle ultime ore il centrosinistra sarebbe avanti.
LA CAMPAGNA
elettorale ha visto arrivare in Regione non solo Meloni, ma 13 ministri a sostegno di Marsilio, con promesse di tutti i tipi e pure risorse erogate all’ultimo minuto, come quelle per la linea ferroviaria Roma-pescara. Dall’altra parte, per D’amico, sono venuti tutti: Giuseppe Conte e Elly Schlein (e con lei Pier Luigi Bersani e Stefano Bonaccini), ma anche Nichi Vendola, Carlo Calenda e Maria Elena Boschi. E Alessandra Todde, la neo-vincitrice in Sardegna, testimonial del “si può fare, si può rimontare, ci si può riprendere il Paese”. Se Marsilio rivendica di aver salvato gli ospedali, dal centrosinistra arrivano accuse di sanità al collasso, liste d’attesa infinite. E se D’amico promette trasporti gratuiti ai giovani, il presidente in carica vagheggia di una Regione “più vicina al resto del mondo”. Il primo resta un romano di Colle Oppio, che non s’è mai davvero voluto trasferire e ha riempito le liste di campioni delle preferenze, l’altro è uno che ha saldi legami non solo con il territorio, ma pure con i politici locali, compreso Luciano D’alfonso, storicamente l’uomo forte in terra d’abruzzo. Tanto è vero che sono stati Michele Fina (ex segretario regionale, oggi tesoriere dem) e Gianluca Castaldi (coordinatore regionale M5s) con un tavolo locale messo su la scorsa estate ad arrivare all’ex Rettore, proprio per bruciare tempi e rivalità nazionale.
Oggi il voto ha una rilevanza più nazionale che mai. Se vince Marsilio, Meloni può raccontare che la Sardegna è stata un incidente e tenere nervi più saldi di quanto li abbia avuti nell’ultima settimana. Se perde, la slavina è dietro l’angolo. Ma pure Matteo Salvini, che non a
caso ha girato in lungo e in largo la Regione a spese del
Mit, si gioca qualcosa: non c’è il voto disgiunto, attraverso il quale mandare segnali, ma soprattutto se va troppo male sarà il primo responsabile della sconfitta. D’al
tronde, nel Carroccio ormai gli aspiranti segretari si moltiplicano. Se vince D’amico, Schlein vedrà premiare la sua volontà “testardamente unitaria” che l’ha portata a mediare all’inverosimile per arrivare a candidature congiunte con Conte. Se perde, c’è da scommettere che il leader 5 Stelle porrà qualche veto in più sui campi larghissimi. Perché se aritmeticamente questa scelta ha reso l’abruzzo contendibile, politicamente va verificata. Alle Politiche il centrodestra unito prese il 47,8% e le forze del centrosinistra sommate arrivarono al 46%. Quello di oggi è un nuovo capitolo.