Il Fatto Quotidiano

Nel sinedrio Il serpente miracoloso di Mosè, Gesù e la verità luminosa

- ANTONIO SPADARO S.I.

Giovanni inquadra Gesù in dialogo con Nicodemo, un uomo importante, membro del sinedrio, il supremo consiglio ebraico che svolgeva importanti compiti nella direzione degli affari pubblici e nell’amministra­zione della giustizia. Ma non sono colloqui ufficiali. Anzi, è notte. Si distinguon­o le ombre. Quell’uomo notabile sa nel suo cuore che Gesù viene da Dio, e vuole capirlo meglio, ascoltarlo, ma in modo discreto per non attirare l’attenzione.

Li sentiamo sussurrare, e Giovanni ci fa entrare in questo colloquio privato. Gesù sta parlando di un serpente innalzato da Mosè nel deserto. È un’immagine forte, e i due sanno bene di che cosa si tratta e di cosa stanno parlando. Mosè, infatti, aveva innalzato un serpente di bronzo come fosse un vessillo durante la peregrinaz­ione del popolo nel deserto. Quella figura aveva un potere prodigioso: coloro che era stati morsi da un serpente velenoso guarivano. Era un segno di salvezza dalla morte e dal male. Poi Gesù prosegue parlando di sé e dicendo che così, come quel serpente, sarà innalzato il Figlio dell’uomo: guardandol­o si guarirà dalla morte e si avrà “la vita eterna”. Gesù sta parlando di sé, appunto, ma non sappiamo che cosa Nicodemo stia capendo del discorso. Neanche noi, forse, che sappiamo che cosa accadrà dopo. Gesù sta parlando della sua crocifissi­one o della sua glorificaz­ione? O forse di entrambe le cose? Il punto chiarissim­o però, in ogni caso, è che bisogna alzare lo sguardo. Chi vuole guarire dal veleno della morte – qualunque forma esso abbia – deve sollevare gli occhi e incrociare quelli di Gesù, che adesso Nicodemo sta fissando. Più ci si guarda la ferita del morso, più la si lecca, più ci si dispera, e più si muore.

Il discorso di Gesù si fa accorato, passionale: Dio non vuole che alcuno vada perduto. Dio vuole che tutti abbiano la vita. Dio non vuole condannare il mondo. Dio vuole che il mondo sia salvato. Dio, Dio,

Dio, Dio… in una serie di frasi ritmiche, Gesù parla di lui, e vuole mettere da parte ogni idea di un Essere giustizial­ista, moralista, giudicante, come se il senso della sua divinità fosse la minaccia, la condanna, il giudizio legale, la perdizione.

Il suo è un discorso notturno, sussurrato, ma espresso con quella passione che le parole hanno quando intendono convincere sapendo che non sarà facile. Lui è la garanzia del fatto che se ci si affida si è salvi dalla condanna: basterà guardarlo negli occhi per svelenirsi, per rendere innocue quelle pozioni che ammorbano le nostre vite e ci fanno disperare che tutto abbia senso, nonostante tutto.

Poi Gesù torna in sé rispetto alla passione commossa che lo aveva travolto parlando di Dio. E si ricompone in un tono posato, un po’ solenne, forse. “Il giudizio è questo”, sentenzia. Ed ecco che dalle sue parole si disegna un’altra forte immagine dopo quella del serpente di bronzo nel deserto. Dipinge un contrasto metafisico tra la luce che “è venuta nel mondo” e il buio. Vediamo il flash improvviso che però non si spegne. La luce resta, ma vediamo anche che gli uomini “amano le tenebre”. Il buio li acceca, non la luce. Nella conversazi­one tra Gesù e Nicodemo, che forse si è svolta nella notte alla luce di un fuoco, queste parole risuonano visivament­e. Il buio è “amato” e la luce viene addirittur­a “odiata”: è il dramma della storia. E della scelta che ciascuno di noi deve fare: “Chi fa la verità viene verso la luce”. Attenzione! Gesù non dice che chi è vero, e agisce con autenticit­à e amore di Dio, sia anche bello e raggiante, ma che viene verso la luce, come si illuminass­e passo dopo passo.

SUSSURRI IL COLLOQUIO NOTTURNO CON NICODEMO E LE METAFORE ONIRICHE USATE DA DIO

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