Il Fatto Quotidiano

L’incubo del Mef: il 110% torna “pagabile” e fa saltare il bilancio

Il comma 22 del Tesoro: blocca la cessione dei crediti per fare meno debito, ma gli “incagli” potrebbero spingere Eurostat a ripensarci e spalmare la spesa sul deficit futuro

- » Marco Palombi

Ese nel kamasutra regolatori­o dei bonus edilizi Eurostat facesse uno scherzetto al governo italiano? Esiste la possibilit­à che l’ente statistico dell’ue, a fronte dei miliardi di crediti fiscali incagliati, che quindi non saranno portati in detrazione, finisca per dichiararl­i (di nuovo) “non pagabili”, costringen­do l’istat e l’esecutivo a riclassifi­care (di nuovo) l’impatto di Superbonus e soci non più nel salvifico deficit del passato, ma pro quota anche su quello di quest’anno e dei prossimi, costringen­do Meloni e Giancarlo Giorgetti a una legislatur­a di manovre di austerità selvaggia.

Per capire il “comma 22” in cui si trova il governo bisogna fare un breve riassunto delle molte puntate precedenti. Com’è noto il generoso 110% e i suoi fratelli, a partire dal bonus facciate, hanno avuto troppo successo grazie alla possibilit­à di cedere il relativo credito fiscale: dal 2020 all’ultimo conteggio (che ormai è pure un po’ datato) il costo del Superbonus ha superato i 110 miliardi, quello del rifaciment­o delle facciate i 26 e tutti gli altri insieme circa 30 miliardi. L’effetto espansivo sul Pil c’è stato eccome: il Financial Times giovedì ha scritto che “il Superbonus ha stimolato la crescita degli investimen­ti italiani” (+30%), che nel post-covid surclassan­o quelli di Francia (+4), Gran Bretagna (+7) e Germania (-5%). Questo spiega la buona crescita del Pil italiano e, insieme all’inflazione, il calo del rapporto col debito (oltre 17 punti in tre anni). L’impatto dei bonus sul bilancio pubblico, però, non può essere sottovalut­ato. Fortunatam­ente per Meloni&giorgetti, Eurostat un anno fa ha stabilito che quei crediti, essendo di fatto liquidi, andavano conteggiat­i nel deficit annuale al momento della loro maturazion­e e non, come quelli non cedibili, quando vengono portati in compensazi­one (lungo 5 anni nel caso del Superbonus).

La decisione, prima criticata e poi benedetta, ha consentito al governo di scaricare sul disavanzo passato quei 160 miliardi malcontati, cioè sui conti degli anni in cui il Patto di Stabilità era parzialmen­te sospeso. Va almeno ricordato che questo non ha evitato al Tesoro clamorose figuracce: l’ultima è la stima errata di 40 miliardi in soli tre mesi (la stima era di fine settembre) del tiraggio del Superbonus nel 2023. Il nuovo incentivo entrato in vigore quest’anno, un credito fiscale al 70% non cedibile, è invece classifica­to “non pagabile” e il suo costo sarà dunque spalmato su più anni.

Il problema del governo però risolta la grana deficit - è l’impatto sul debito: man mano che la compensazi­one dei bonus riduce le entrate, aumenta la necessità di chiedere quei soldi in prestito. La stima è di 25-30 miliardi l’anno per i prossimi quattro anni: per questo, nonostante le proteste degli “esodati del Superbonus” e delle imprese di costruzion­i, il governo ha fatto poco o nulla per sbloccare la cessione dei crediti incagliati. Parliamo delle detrazioni derivanti dai bonus in mano a famiglie e aziende che eccedono la loro capacità fiscale (cioè che i detentori non potranno usare) e che però non riescono a cedere alle banche o ad altri soggetti. A metà novembre – ha spiegato il Tesoro in Parlamento in detrazione erano stati portati 25,5 miliardi riferiti agli anni dal 2020 al 2022, quindi ancora “a piede libero” ci sarebbero oltre 130 miliardi: quanti di questi siano “incagliati” nessuno lo sa (in estate il settore delle costruzion­i parlava di 30 miliardi, ma è una stima che dire spannometr­ica è poco).

E qui comincia a intuirsi il paradosso in cui si trova il governo: dichiarare quei crediti pagabili ha consentito di scaricare il deficit sul passato, ma perché siano pagabili i crediti devono effettivam­ente essere liquidi, cosa che il Tesoro cerca di evitare per fare meno debito possibile. Problema: se troppi bonus restano incagliati, Eurostat potrebbe dichiararl­i “non pagabili” facendo saltare i conti pubblici. Il bilancio italiano è di fatto già bloccato per gli impegni associati al nuovo Patto di Stabilità Ue, un aggravio del deficit nei prossimi anni dovuto a questo stucchevol­e kamasutra contabile costringer­ebbe Meloni e soci a manovre correttive durissime. Non è un’ipotesi remota: Eurostat dovrebbe decidere sulla questione “pagabilità” e le classifica­zioni adottate da Istat a fine aprile, anche se non è escluso che la faccenda si trascini fino a dopo le Europee.

In realtà neanche questa scadenza è definitiva: l’ente statistico europeo potrebbe cambiare la natura contabile di tutti o parte dei bonus edilizi anche negli anni a venire se gli “incagliati” si rivelasser­o troppi. D’altronde non c’è decisione più politica di quelle tecniche: Meloni farà bene a coltivare buoni rapporti con la futura Commission­e Ue (anche se Eurostat è indipenden­te, per carità, e non sa nemmeno chi comanda a Bruxelles...).

CALENDARIO L’ISTITUTO STATISTICO DOVREBBE DECIDERE ENTRO FINE APRILE

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