Non solo Assange: da Mosca ad Atene cronisti in pericolo
L’allarme In Russia record di morti. Spiati in Grecia Ungheria, Cipro e Spagna. Kiev finisce sotto la lente
Ci sarà un motivo se la libertà dei media sta declinando paurosamente nel mondo, come testimoniano molte istituzioni indipendenti. I giornalisti, in particolare quelli investigativi, ormai sono una specie a rischio di estinzione. Se non tacciono o si autocensurano, vengono colpiti dalla criminalità organizzata, dossierati, monitorati dagli spyware, intimiditi da cause legali e civili senza fondamento mirate solo a silenziarli, impoveriti dal taglio mirato della pubblicità, strangolati dal controllo esercitato dalla politica sui media pubblici, uccisi incarcerati o esiliati da molti regimi. È sempre più allarmante lo stato della libertà di stampa in Europa, secondo l’edizione 2024 del rapporto del Consiglio d’europa sulla protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti realizzata da una piattaforma istituita nel 2015 in cooperazione con molte Ong, che formula raccomandazioni per affrontare i molti nodi di questa ragnatela. L’analisi copre i 46 Stati del Consiglio d’europa, ma anche Russia e Bielorussia.
I DATI POTREBBERO FAR PENSARE
che la situazione stia migliorando. Nel 2023 sono stati registrati “solo” 285 gravi minacce o attacchi alla libertà dei media in Europa, mentre l’anno prima erano 289. Gli omicidi mirati e i casi di violenza contro i giornalisti sono calati: a fine 2023 erano registrati 49 omicidi di operatori dell’informazione di cui 30 casi irrisolti, molti dei quali sin dal 2014 nel conflitto russo-ucraino come quello dell’italiano Andrea Rocchelli. L’anno scorso sono avvenuti 5 omicidi irrisolti di giornalisti: le vittime sono state Sokratis Giolias e Giorgos Karaivaz in Grecia, Aleh Byabenin in Bielorussia, Milan Pantiin Serbia e Yuri Shchekochikhin in Russia.
Ma cresce a dismisura e si diversifica il clima di minacce, pressioni e vincoli che li opprime. Quel che è peggio, a portare gli attacchi peggiori contro la libertà di stampa sono gli stessi Paesi che dovrebbero proteggerla. I servizi di intelligence di molti Stati si sono attrezzati con tecnologie spyware, la più famosa delle quali è Pegasus, per penetrare computer e cellulari dei giornalisti e lavoratori dei media, sorvegliare loro e le loro fonti, dossierarli e bloccarli o intimidirli, mentre i governi fanno finta di nulla anche quando gli abusi sono denunciati. Nel rapporto l’uso dello spyware è documentato su reporter in Russia, Armenia, Azerbaijan, Ungheria, Polonia, Cipro, Grecia (nel caso Predatorgate) e Spagna. Sotto la lente c’è pure Kiev, per la controversa legge sul controllo dei media pubblici. Anche l’italia, pur non citata dal rapporto, in passato ha però visto più volte all’opera centrali di dossieraggio di magistrati, oppositori politici e giornalisti. Come nel caso dei 10 mila file dell’ufficio del Sismi in via Nazionale 230 a Roma retto da Pio Pompa, al quale si “abbeveravano” personaggi come Renato “Betulla” Farina che su Libero pubblicava dossier inventati contro Prodi per il caso Abu Omar, per il quale ha patteggiato 6 mesi per favoreggiamento. L’analisi rivela poi il boom delle cause civili e delle denunce penali infondate, come le azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica (le cosiddette Slapp), lanciate da aziende, manager, politici, criminali, personaggi pubblici quando finiscono sotto i riflettori dei media. Costoro sfruttano le pieghe delle norme nazionali sulla tutela della reputazione con il vero obiettivo di fermare i giornalisti e i loro editori attraverso condanne, multe ingenti, insostenibili risarcimenti per danni.
L’ultimo dato dolente dell’analisi sulla libertà di stampa rivela che a fine 2023 erano 55 i giornalisti e operatori dei media in prigione negli Stati membri del Consiglio d’europa – compresi i territori ucraini occupati da Mosca – e 65 in Russia e Bielorussia. Un nome svetta tra tutti: Julian Assange, fondatore e capo di Wikileaks, da 12 anni privato della libertà e da cinque unico giornalista in galera nel Regno Unito, mentre pende la decisione della Corte inglese sulla sua estradizione negli Stati Uniti.