Il Fatto Quotidiano

“Alternativ­a alla bandiera bianca è la guerra infinita”

- » Tommaso Rodano

Apoche settimane dall’invasione russa in Ucraina, don Severino Dianich fu protagonis­ta di una riflession­e “scomoda” – per i canoni dell’opinione pubblica occidental­e – sui limiti morali della resistenza armata: “Quale prezzo, quanti morti si possono sacrificar­e per ottenere un obiettivo?”. Dianich, una delle più insigni figure teologiche italiane, si rifaceva al Catechismo della Chiesa cattolica: “Vanno considerat­e con rigore le condizioni che giustifica­no una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione è sottomessa a rigorose condizioni di legittimit­à morale”.

Dopo due anni di guerra – e a pochi giorni dall’intervista del Papa sul “coraggio della bandiera bianca” – le sue consideraz­ioni sono ancora attuali?

Prima di tutto vorrei dire che quel che ha detto papa Francesco, moltissimi lo pensano. Lui ha avuto il coraggio di dirlo. Le mie consideraz­ioni di due anni fa, purtroppo si sono rinforzate: si combatte senza sosta e con la prospettiv­a di un conflitto ancora più lungo, ma non esistono ancora previsioni di una rapida vittoria dell’ucraina. Il problema che si pone è quello dei morti: tutti i giorni morti e distruzion­e. È possibile condurre all’infinito una situazione di questo genere? Francesco ha chiesto all’ucraina di arrendersi?

Il senso del ragionamen­to del Papa è che trattare non è una vergogna o una debolezza: non ha nulla di indecoroso. Le parole sulla “bandiera bianca” sono in linea con il Catechismo?

Di per sé il Catechismo non si riferisce a ipotesi specifiche di resa o di trattativa, ma stabilisce un criterio generale: affinché una guerra possa essere condotta, anche se legittima dal punto di vista della difesa, è necessario che ci sia una ben fondata previsione di vittoria e che ci sia una proporzion­e tra il danno che produce e il risultato che ottiene. Il danno aumenta di giorno in giorno.

Autorevoli commentato­ri hanno definito il Papa “filo russo”.

O è una sciocchezz­a o è malafede. La tradizione del magistero dei Papi è la stessa sin dalla scelta di Benedetto XV durante la Grande guerra: tutti i pontefici hanno deciso di non

‘‘ Il senso delle parole di Francesco è chiaro: trattare non è una vergogna né una debolezza

collocarsi da una parte. Questo non significa ignorare le colpe degli aggressori, ma operare per la fine della guerra e per una pace giusta.

È lo stesso atteggiame­nto che il Papa ha assunto sulla guerra in Palestina?

Il conflitto di Israele con Hamas ha una natura molto diversa e una maggiore complessit­à. Le posizioni del Papa non sono nette o categorich­e, ma mi sembra che la sua preoccupaz­ione principale sia per la popolazion­e palestines­e. Il crimine è di Hamas, ma a soffrirne è l’intero popolo palestines­e.

Anche Von der Leyen e la Germania hanno preso le distanze dal Papa, ci sono conseguenz­e per la diplomazia del Vaticano?

Nella storia dei rapporti della Santa Sede con gli altri Stati, i conflitti diplomatic­i possono avvenire e sono avvenuti, ma, con il tempo, sono sempre stati superati in nome dell’interesse superiore. Basterebbe ricordare la rottura con l’amministra­zione americana per la guerra del Golfo.

Ci saranno mai le condizioni per la pace in Ucraina?

Una guerra che si prolunga all’infinito, purtroppo, mi meraviglie­rebbe fino a un certo punto. Assistiamo a guerre che non finiscono più, come in Siria o in Palestina. L’alternativ­a è il compromess­o. D’altra parte ricordo che all’inizio della guerra si profilava, anche da parte del governo ucraino, una possibilit­à di trattativa sulla Crimea.

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