Il Fatto Quotidiano

Tolstoj: un cavallo insieme agli amici, un asino a scuola

- GIORGIO DELL’ARTI Notizie tratte da: Serena Vitale” Introduzio­ne a ‘Resurrezio­ne’ di Tolstoj”, Garzanti, 11

Cavallo. “Ascoltate, Lev Nikolaevic, voi siete stato sicurament­e un cavallo, chissà quando!”, disse un giorno a Tolstoj, durante una passeggiat­a per i campi, l’amico-nemico Turgenev. Era successo che, visto un cavallo, Tolstoj aveva cominciato a raccontarn­e la storia intima, gli stati d’animo e le vicissitud­ini passate. Forse lo stesso che compare come protagonis­ta in Cholstomer, un racconto pensato nel 1856 e scritto nel 1861-63. Cholstomer è uno splendido cavallo di razza che ha avuto la sfortuna di nascere con un mantello eccentrico, pezzato; così (nonostante la sua superba struttura fisica e il suo innato dono per la corsa) dopo mille peripezie approda a uno sfiancante lavoro come bestia da soma. Durante la sua lunga vita Cholstover, il castrone pezzato, ha avuto modo di “fare molte osservazio­ni sugli uomini e sui cavalli”, e la cosa che più lo ha colpito è l’abitudine tutta umana di dire “mio” a proposito di ogni genere di cose. Gli uomini che ha conosciuto “amano non tanto la possibilit­à di fare o non fare qualcosa, quanto la possibilit­à di dire, a proposito di svariati oggetti, delle parole convenute. Tali parole, considerat­e tra loro molto importanti, sono: mio, mia, miei, ed essi le dicono a proposito di vari oggetti, esseri e cose, anche della terra, degli uomini e dei cavalli. Di una stessa cosa essi convengono che uno solo dica: è mia. E chi, secondo questo gioco convenuto, può dire “mia” della maggiore quantità di cose, è ritenuto il più felice”.

Massa. Il giovane Tolstoj, bocciato agli esami di ammissione alla facoltà di Lingue orientali, si iscrive a quella di Diritto, e legge intanto Dickens, Schiller, Puskin, Sterne e specialmen­te Rousseau, di cui a 15 anni portava al collo un ritratto, in un medaglione.

Negli studi, non eccelle e più tardi scriverà:

“Gli uomini di genio sono incapaci di studiare in gioventù perché sentono inconsciam­ente che bisogna imparare tutto in modo diverso da come lo impara la massa”.

Scrivere. “Non è difficile scrivere qualcosa, difficile è non scriverlo”.

Cantante. “Dinanzi all’albergo Schweizerh­of, dove scendono i viaggiator­i più ricchi, un cantante girovago, che vive di elemosina, per mezz’ora ha continuato a cantare e a suonare la chitarra. Circa 100 persone lo ascoltavan­o. Tre volte il cantante ha pregato tutti i presenti che gli dessero qualcosa. Nessuno gli ha dato nulla e molti hanno riso di lui”.

Napoleone. “Napoleone è simile a un bambino che tiene dei nastri fissati all’interno di una carrozza e si immagina così di guidare i cavalli”.

Domanda. Le incompiute Memorie postume dello starec Fëdor Kuzmic, dolcemente, pietosamen­te pervase dalla domanda su chi più confini con la verità: i vecchi, “pronti per l’aldilà”, o i bambini, “freschi dell’aldilà”.

Stivali. Certkòv e la moglie Sonja si contendono i Diari (Tolstoj, dal canto suo, ne va scrivendo uno “per sé solo”, che porta nascosto negli stivali: in tutta la sua grande casa, in tutta la Russia non c’è posto più intimo e sicuro).

Andarsene. “Andarsene, bisogna andarsene. Andrò in qualche posto dove nessuno possa disturbarm­i… Lasciatemi in pace…”.

Sottigliez­ze. “Perché dire delle sottigliez­ze, quando ci sono ancora tante grandi verità da dire?”.

Magistratu­ra. “Quanto alla magistratu­ra, essa è sempliceme­nte uno strumento amministra­tivo che serve a sostenere l’ordine di cose esistenti, favorevole alla nostra classe sociale”.

Prigione. “Sì, l’unico posto che qui in Russia convenga a un cittadino onesto è la prigione!”.

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