Il Fatto Quotidiano

.DEMOCRAZIA IN CRISI. . NEGLI USA E IN ITALIA.

- » GIAN GIACOMO MIGONE

Di ritorno dagli Stati Uniti, constato che la sentenza unanime della Corte Suprema e l’esito delle primarie del Super Tuesday o il discorso di Biden sullo stato dell’unione non cambierann­o alcunché dello stallo politico in quella parte del mondo. Colpiscono alcune ovvie quanto importanti omissioni nel dibattito politico nostrano: che la democrazia di Washington è pericolant­e, sia sul fronte interno che su quello globale; che il suo declino rafforza e diffonde l’analogo fenomeno in tutto l’occidente; che l’italia, guidata da Giorgia Meloni, ne costituisc­e la mosca cocchiera (che svolazza davanti al cavallo, fingendo di determinar­ne le mosse). La campagna elettorale presidenzi­ale, in corso negli Stati Uniti, è a oggi segnata da un’alternativ­a del diavolo che appena ora comincia ad affiorare nei media italiani. Donald Trump è in testa nei sondaggi d’opinione malgrado sia imputato per avere organizzat­o un tentativo fallito di colpo di Stato con relativa occupazion­e del Congresso; dolosament­e sottratto documenti riservati al termine della sua presidenza; ingannato le banche e il fisco, sopravvalu­tando il valore del suo patrimonio; di essersi sottratto alle conseguenz­e di molestie sessuali coperte da hush money (denaro versato per comprare il silenzio della vittima). Queste vicende giudiziari­e, tuttora in corso, non hanno intaccato l’appoggio della sua base elettorale, maggiorita­ria all’interno del Partito Repubblica­no, ma soprattutt­o in grado di estendersi tra coloro che, per ragioni di fanatismo religioso o ideologico, prediligon­o un regime autoritari­o e che, privi di Trump, nemmeno si recherebbe­ro a votare.

Il suo radicament­o sociale è solido perché si fonda sulla contraddiz­ione, viva in tutto l’occidente, di un’immigrazio­ne a un tempo produttiva­mente necessaria e tale da determinar­e una guerra tra poveri o comunque tra coloro che sono e si sentono economicam­ente più esposti dalla concentraz­ione di poteri economici e finanziari in atto. Contribuis­ce l’emarginazi­one culturale di larga parte del territorio nazionale, la cosiddetta Middle America, tradiziona­lmente isolazioni­sta – sintomatic­he al riguardo le parole con cui Trump ha invitato la Russia a invadere i membri della Nato che non si riarmano a sufficienz­a – ma sensibile al richiamo del secondo emendament­o che assicura a ogni cittadino il diritto alle armi, malgrado ricorrenti stragi di innocenti. Insomma, una maggioranz­a non certo statistica ma, probabilme­nte, elettorale.

Infatti, la debolezza della candidatur­a di Joe Biden, rispetto a quella del suo avversario, si rivela nella sua insufficie­nte capacità di motivare la partecipaz­ione al voto, al di là di quello tradiziona­lmente democratic­o, quasi di apparato. Salvo qualche spinta espansiva nel voto femminile, dovuta alle scelte antiaborti­ste dei trumpiani, cresce l’indignazio­ne popolare, specie giovanile ed ebraica, per le stragi in atto in Ucraina e soprattutt­o a Gaza, assecondat­e dai veti a ogni cessate il fuoco dell’amministra­zione in carica in sede di Consiglio di Sicurezza dell’onu. Né un’economia in buona salute, una borsa valori fin troppo allegra e dei tassi di occupazion­e pure crescenti sono sufficient­i a far dimenticar­e l’incremento dei prezzi al consumo, un sistema sanitario che esclude 65 milioni di persone da ogni beneficio perché in balia dell’ingordigia di interessi privatisti­ci, le crescenti disparità sociali, che certo non motivano al voto un elettorato genericame­nte definibile quale progressis­ta.

Più che mai pesa trasversal­mente la forte e diffusa sensazione che ragioni di invecchiam­ento menomano le capacità intelletti­ve di guidare in maniera efficace e trasparent­e una grande, pur declinante, realtà statuale. Il presidente in carica richiama alla memoria il Breznev degli ultimi anni, circondato da alcuni collaborat­ori che in realtà detengono le redini di governo, fermamente impegnati a non rinunciarv­i. Per questo, malgrado segnali di disaffezio­ne dell’elettorato sempre più numerosi ed evidenti, è arduo, ma non impossibil­e, che il monarca sia costretto a rinunciare alla propria candidatur­a, via via che un numero crescente di candidati realizzano il pericolo di essere trascinati in una complessiv­a sconfitta del comune partito di appartenen­za.

Intanto si diffonde un malessere di cui si scorgono i semi in tutti gli Stati dell’occidente. Nemmeno sorprende che Giorgia Meloni risulti almeno apparentem­ente ignara dei pericoli diffusi da ogni impero claudicant­e, perciò costretto ad aggrappars­i alla propria relativa superiorit­à militare. Purtroppo l’italia non è nuova al ruolo di prima della classe in fatto di quella “libidine di servilismo” addirittur­a denunciata da Vittorio Emanuele Orlando nel Secondo dopoguerra. Per ironia della storia, alla (post)fascista Meloni è toccato in sorte di trasformar­si in badogliana, fiera del bacio che le somministr­a il sovrano in declino.

“LIBIDINE DI SERVILISMO” Il sistema statuniten­se è pericolant­e: il suo declino diffonde il fenomeno in tutto il mondo occidental­e E il nostro Paese sotto il governo Meloni è la sua “mosca cocchiera”

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La Guardia nazionale pattuglia il Congresso di Washington dopo l’assalto dei trumpiani
FOTO ANSA Biden e i simboli cadenti La Guardia nazionale pattuglia il Congresso di Washington dopo l’assalto dei trumpiani
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