IL CONSIGLIO DI STATO APPROVA L’INCENERITORE: MA DOVE VIVE?
Il 9 febbraio 2024, con una sentenza di 100 pagine, il Consiglio di Stato (CDS) ha respinto tutti i ricorsi delle associazioni ambientaliste contro il termovalorizzatore da 600.000 tonnellate che il sindaco Roberto Gualtieri esalta come la soluzione finale ai problemi dei rifiuti di Roma.
Il punto centrale della questione riguardava il rispetto della gerarchia comunitaria per i rifiuti la quale pone al primo posto la prevenzione (“il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”), al secondo il riutilizzo e il riciclaggio e solo al terzo, (prima dello smaltimento in discarica), il recupero tramite termovalorizzatori. I ricorsi, quindi, contestavano la scelta del megatermovalorizzatore perché, pur essendo al terzo posto, scavalca le prime due priorità e potrebbe addirittura ostacolare un potenziamento del riciclo.
IN ESTREMA SINTESI,
il CDS li respinge sulla base di due argomentazioni. La prima è che la gerarchia comunitaria non è affatto vincolante e lascia agli Stati membri una “ampia discrezionalità”. In questo modo, però, non solo si annullano tutte le priorità imposte dalla Ue, ma, soprattutto si afferma il contrario di quello che dice la normativa. Basta leggere la nostra legge ambientale per verificare, infatti, che essa consente di discostarsi dall’“ordine di priorità” della gerarchia solo “in via eccezionale”, solo “con riferimento a flussi di rifiuti specifici” e “nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità”. Di un “margine di discrezionalità” parla solo una sentenza della Corte europea del 2019, la quale, però, si affretta subito a specificare che ciò può riguardare, al massimo “flussi di rifiuti specifici laddove ciò sia giustificato dall’impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti”.
La seconda argomentazione è, invece, di merito: secondo il CDS, infatti, il piano rifiuti approvato nel 2022 dal Comune di Roma quantifica “in modo realistico” i risultati che dovrebbe conseguire, facendosi carico di “garantire che la pianificazione delle capacità di termovalorizzazione sia conforme e favorevole alla gerarchia dei rifiuti…”.
Se, a questo punto, andiamo a leggere quali misure vengono proposte da questo piano, ci troviamo di fronte a una elencazione di (più o meno) buoni propositi, del tutto generici (e scontati), senza alcuna precisazione delle azioni concrete e delle tappe temporali necessarie per conseguirli: la raccolta porta a porta, ad esempio, che è fondamentale per aumentare il riciclo, nel piano rifiuti romano viene affogata in una generica “riorganizzazione del modello di raccolta in accordo con le peculiarità territoriali” con altre numerose enunciazioni altrettanto generiche. Insomma, l’unico punto certo predominante è il megatermovalorizzatore.
Del resto, chiunque vive a Roma sa bene che la situazione rifiuti negli ultimi anni – e soprattutto negli ultimi mesi –, è solo peggiorata raggiungendo in alcune zone livelli da Terzo mondo. E, a parte i comunicati stampa del Campidoglio e nonostante il Giubileo alle porte, non si vede alcun segno di una inversione di tendenza. Anzi, secondo i dati disponibili, la produzione di rifiuti, invece di diminuire è aumentata; la raccolta differenziata, invece di balzare in avanti, è rimasta agli stessi, bassissimi livelli; e i tempi per la costruzione del famoso termovalorizzatore sono slittati dal 2025 al 2028.
Ma forse i magistrati del CDS che hanno scritto la sentenza non vivono a Roma.
RIFIUTI ROMA RESPINTI TUTTI I RICORSI DEI COMITATI CHE INVOCAVANO L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE UE