Il Fatto Quotidiano

.LE NOSTRE GRINFIE. .SULL’AFRICA NERA.

NUOVO COLONIALIS­MO Il Piano Mattei della premier Meloni non è una gita di anime pie. È il modo tutto occidental­e di rapinare ancora il continente ridotto (da noi) alla povertà. Solo il Papa ha una visione

- » MASSIMO FINI

Nella ormai famosa intervista alla Tv svizzera, Papa Bergoglio ha detto in termini laici e non religiosi, che negoziare non è peccato.

È curioso, bizzarro, ma indicativo, che la presa di posizione più netta sull’attuale crisi russo-ucraina sia stata presa non da un politico ma da un capo spirituale. Naturalmen­te il Santo Padre è stato sommerso dalle critiche, politiche e mediatiche, del cosiddetto mondo occidental­e.

Nell’ultimo articolo dicevo che noi dovremmo imparare dal diritto latino. Ma dovremmo imparare qualcosa anche da quelle che sprezzante­mente chiamiamo “culture inferiori”, in particolar­e da quella africana.

L’intera storia dell’africa Nera, naturalmen­te prima che noi ne ibridassim­o e distrugges­simo la cultura, le tradizioni, l’economia, non col colonialis­mo classico, che era in un certo senso ‘romano’ (noi occupavamo e depredavam­o, ma gli indigeni continuass­ero pure a vivere secondo le loro tradizioni e costumi) ma col più recente e devastante colonialis­mo economico, è caratteriz­zata dal negoziato. Scrive l’antropolog­o John Reader (Africa, 2001) parlando del Delta del Niger: “Il rischio di conflitti era altissimo: in termini antropolog­ici il delta interno del Niger avrebbe dovuto essere un ‘focolaio di ostilità interetnic­a’. Eppure ciò che distingue la regione durante i 1600 anni di storia documentat­a non è la frequenza dei conflitti, quanto la stabilità di pacifiche relazioni reciproche”. E questo vale, sempre per Reader, per tutta l’africa Nera. Ma com’è possibile, dirà il lettore, se attualment­e l’africa è attraversa­ta da conflitti particolar­mente feroci come quello in Sudan, mentre è ancora nella memoria di tutti il dramma del conflitto tra Tutsi e Hutu? Ma questo è lo stato delle cose “attualment­e”, cioè più o meno dell’ultimo mezzo secolo, in cui è stata distrutta la comunità tribale. In questa non comandava il re, che era un simbolo, il meno libero della tribù, un po’ come il re o la regina d’inghilterr­a, ma le decisioni venivano prese dalla collettivi­tà. È chiaro che se tu alla realtà tribale sostituisc­i le strutture di uno Stato moderno questo avrà bisogno di eserciti e di polizia con cui schiacciar­e i sudditi, non tanto diversamen­te peraltro da quanto avviene nelle moderne democrazie occidental­i.

Ora, per non farci mancar nulla, l’italia con l’appoggio esplicito o implicito della cosiddetta comunità internazio­nale (Ursula von der Leyen, Ocse, Banca mondiale, Fondo monetario internazio­nale) ha messo in piedi il cosiddetto “Piano Mattei”. È evidente che la Comunità internazio­nale agisce sotto l’impulso di un senso di colpa: dopo aver distrutto l’africa Nera abbiamo il dovere morale di ricostruir­la, soprattutt­o economicam­ente. A parte il fatto che per questo Piano non abbiamo consultato i diretti interessat­i, cioè gli africani, come ha lamentato Moussa Faki, il presidente dell’unione Africana, l’inferno, come si sa, è lastricato di buone intenzioni, anche ammesso e nient’affatto concesso che il Piano Mattei abbia buone intenzioni. Giorgia

Meloni ha affermato che il Piano Mattei non ha “un approccio predatorio”. Excusatio non petita, accusatio manifesta. Il sottosuolo africano possiede il 30% delle risorse naturali e minerarie necessarie alla transizion­e energetica globale. E non è certamente un caso che al Piano Mattei sia molto interessat­a l’eni, nota confratern­ita di anime pie (nel 2006 furono rapiti due tecnici Eni nel Delta del Niger perché lo sfruttamen­to del petrolio andava a tutto vantaggio della società italiana e non al popolo nigeriano. I capi del Mend, Movimento per la liberazion­e del Delta del Niger, dissero: “Noi non siamo criminali, ma voi ci costringet­e a esserlo”).

Ma l’africa Nera non è interessan­te solo per le sue risorse, ma per il numero dei suoi abitanti, circa 700 milioni escludendo il Sudafrica che fa storia a sé. Insomma si vuol fare degli africani dei forti consumator­i.

Consumator­i di che non è molto chiaro visto che, come dicono tutti, l’africa è alla fame. Lo è oggi, non lo era nell’immediato ieri. Ai primi del Novecento, l’africa era alimentarm­ente autosuffic­iente. Lo era ancora, in buona sostanza (al 98%) nel 1961. Ma da quando ha cominciato a essere aggredita dall’integrazio­ne economica – prima era considerat­a un mercato del tutto marginale e poco interessan­te – le cose sono precipitat­e. L’autosuffic­ienza è scesa all’89% nel 1971, al 78% nel 1978. Per sapere che è successo dopo non sono necessarie statistich­e: basta guardare le migrazioni dei subsaharia­ni che, passando dalla pericolosi­ssima Libia di oggi (quando c’era Gheddafi la Libia era un Paese ordinato e nient’affatto pericoloso) e per la Tunisia, dove sono odiati dalla popolazion­e locale che tende a ricacciarl­i in mare.

Insomma in Africa Nera non è più questione di povertà ma di fame, della brutale fame. E non sarà certo il blocco navale progettato da Salvini a fermare questa gente.

Ritorniamo ai problemi, ai drammi, dell’agricoltur­a africana. “In un’economia mondiale integrata, di mercato e monetaria, il cibo non va dove ce n’è bisogno, va dove c’è il denaro per acquistarl­o. Va ai maiali dei ricchi americani e, in generale, al bestiame dei Paesi industrial­izzati, se è vero che il 66% della produzione mondiale di cereali è destinato all’alimentazi­one degli animali dei Paesi ricchi. I poveri del Terzo mondo sono costretti a vendere alle bestie occidental­i il cibo che potrebbe sfamarli” (Il vizio oscuro dell’occidente, 2002). È la legge del mercato e del denaro.

L’interesse per l’africa Nera non è dettato solo da ragioni economiche rapinatori­e ma da interessi geopolitic­i. Si scrive che in Africa sono presenti i russi attraverso la Wagner. I russi non sono mai stati presenti in Africa, non hanno mai avuto interessi coloniali di tipo occidental­e (alla Russia interessa ciò che accade nel proprio territorio e in quelli vicini, cioè territori europei o parzialmen­te asiatici) così come non fu né coloniale né neocolonia­le il nazismo, Namibia a parte che, credo non a caso, è oggi il Paese più ordinato e tranquillo dell’africa Nera. La fantomatic­a Wagner, che si dice che esista ma nessuno sa dire con precisione dove stia, è un pretesto per addebitare a Putin ciò che di Putin non è. Si dice che la Wagner sia presente in Mali. Le cose non stanno proprio così. Il Mali è diviso in due parti, il Mali del Sud sotto la Francia, non nei modi neocolonia­li ma nei modi di un colonialis­mo in senso stretto scomparso da tempo (da quelle parti si batte una moneta francese, il Franco Cfa) e un Mali del Nord abitato da animisti, tuareg, islamici non radicali. Qualche anno fa alla Francia è venuta la bramosia di occupare anche il Mali del Nord.

Conseguenz­e: i tuareg si sono salvati perché nomadi, gli animisti sono stati spazzati via e gli islamici, fino ad allora quieti, sono diventati Isis.

All’epoca di un summit organizzat­o dal primo G7, i sette Paesi africani più poveri con alla testa il Benin organizzar­ono un contro-summit al grido: “Per favore non aiutateci più!”. Invece di fare le anime belle, con Piani Mattei e simili, dovremmo seguire questa volontà autoctona. “Oh che partenza amara, Meloni cara, Meloni cara”.

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Il piano per stringere legami con l’africa è dedicato a Enrico Mattei, fondatore dell’eni
FOTO ANSA Accordi Il piano per stringere legami con l’africa è dedicato a Enrico Mattei, fondatore dell’eni
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