Nella mente (folle) di mamma Emma e di sua figlia Nina
Emma insegna pittura all’accademia di Belle Arti di Parigi e sa “identificare” sua figlia come un artista riconosce le differenze tra un quadro che ha dipinto e quello copiato alla perfezione da un falsario. “Le anomalie, gli errori del copista, per quanto sottili possano essere, saltano agli occhi del pittore perché è legato alla sua opera da un’inalienabile familiarità. Questa intimità si trova al tempo stesso dissolta e incorporata nei ricordi della sua creazione”. Quello stesso concetto di viscerale familiarità lo si avverte verso un figlio, a meno che non s’insinui, per qualche ragione, un dubbio divorante, come accade in Copia conforme (il titolo originale è Un jour, ma fille a disparu dans la nuit de mon cerveau: “Un giorno mia figlia è scomparsa nella notte del mio cervello”), terza opera della sceneggiatrice e scrittrice francese Stéphanie Kalfon, la prima pubblicata e tradotta in Italia, a metà tra thriller psicologico e dramma maternale.
Emma si convince che la bambina che è stata ritrovata la sera del suo ottavo compleanno, dopo essersi persa al luna park, non sia davvero sua figlia Nina, ma un’impostora. A detta della polizia è invece una “copia conforme”, anche il padre né è certo, ma Emma no. Osserva quella bambina, la guarda muoversi e compiere gesti quotidiani, ed è come fosse un puzzle che va in pezzi. Le sembra confusa, come stesse prendendo le misure per entrare al meglio nella parte, è più impacciata quando suona il violino, a colazione, da chiacchierona che era, si è fatta silenziosa, assorta dalle onde del latte nella tazza di cereali, ha un nuovo neo sulla fronte, è più bassa, i capelli sono più chiari. Emma vorrebbe correggere il volto di sua figlia come quando mette al lavoro i suoi studenti. “Attenuare cancellare, recuperare, sfumare, insistere, intensificare, tratteggiare, contrastare quel materiale e posarci un respiro”, ma gli occhi le dicono che no, non è lei.
S’innesca un meccanismo malato, doloroso, che la porta ad attraversare una serie di fasi atte a confermare la sua tesi e una sequenza di strategie utili a ritrovare la vera Nina. Il suo smarrimento – “non essere più legata a lei era come abitare in una decalcomania scadente” – assume rapidamente i contorni della follia venata di disperata aggressività, ma il dramma non è singolo, è di un’intera famiglia che si sgretola sotto il peso del dubbio e lo spettro della pazzia. Nina si sente abbandonata, comincia a sua volta a interrogarsi sulla propria identità, non sa più che cosa inventarsi per essere (ri)conosciuta dalla madre.
Gradualmente, mentre la narrazione si fa sempre più angosciante, elettrica e tesa, emergono traumi e ombre dal passato di Emma. Una sorella di otto anni morta annegata quando lei ne aveva quattro, una madre che dopo il tragico incidente scompare per mesi per poi tornare un giorno come non se ne fosse mai andata. E poi si fa largo l’ipotesi che nel cervello di Emma qualcosa si sia spento, quando invece avrebbe dovuto illuminare meglio... “Le famiglie secondo me sono fragili come castelli di carta”, dice. “Basta che qualche neurone smetta di fare la sua funzione specchio perché la familiarità che ci lega agli altri svanisca. Ho pensato fosse la notte ad aver inghiottito mia figlia, ma quella notte aveva avuto luogo in me...”.
Una ragazzina sparisce: il dramma diventa thriller