Il ‘68 e l’uso (e abuso) della parola
CON L’UNIVERSITÀ è incompatibile chi pretende di imporre le proprie idee e impedisce agli altri di manifestarle”
SULLA SECONDA PARTE della frase del Capo dello Stato esistono diversi riscontri e i più recenti riguardano due giornalisti: David Parenzo, all’università di Roma e Maurizio Molinari, all’università di Napoli a cui è stato impedito di parlare e dunque di esprimere e argomentare concetti. Mentre, sul contenuto della prima parte della frase di Mattarella (“chi pretende di imporre le proprie idee”) non abbiamo riscontro alcuno. Invano abbiamo cercato nelle cronache una qualche parvenza di quelle idee che si vorrebbero “imporre”, sia pure con un atto violento. Sappiamo solamente di cartelli, striscioni e slogan in favore della Palestina, contro il “genocidio” e contro Israele. Invano, i colleghi hanno proposto di incontrare i manifestanti e ascoltare le loro opinioni sulla guerra in corso in Medio Oriente e su qualsiasi altro tema. Niente da fare. Pur essendo la parola lo strumento più efficace con cui tra mille altre cose si possono esprimere emozioni, modificare la verità imposta a proprio vantaggio, influenzare la mente altrui, i contestatori hanno rinunciato ad articolare frasi di senso compiuto, vittime di una qualche forma di ideologica afasia. Ho sbagliato a definirli contestatori poiché, al tempo, i sessantottini non si limitavano a occupare gli atenei ma sostituivano alla normale attività didattica dei pipponi indigeribili, intrisi di marxismo centrifugato. Proteste assembleari nelle quali, per lo meno, l’uso (e l’abuso) della parola erano contemplati. A questo punto si potrebbe sospettare che immersi nel sonno della più assoluta e spensierata ignoranza i disturbatori pro Palestina e pro Hamas respingano le offerte di dialogo perché non sanno cosa dire e, soprattutto, non sanno come dirlo. Da questo punto di vista perfino tacciarli di antisemitismo potrebbe sembrare irrispettoso nei confronti dei nazisti che prima di bruciare i libri qualche titolo lo leggevano.
Ps. Nella foga tifosa per dimostrare che “i violenti in cattedra” sono sempre rossi e mai, per dire, azzurri, “Libero” titola sulla Sapienza che “smentisce” la prof Donatella Di Cesare. La docente dopo avere scritto, e poi cancellato, un omaggio alla brigatista Barbara Balzerani ha denunciato “un’intimidazione squadrista di militanti di Forza Italia Giovani” durante il suo corso di filosofia. Secondo la preside di facoltà, Arianna Punzi, invece, “le contestazioni ci sono state ma non hanno impedito alla docente di svolgere regolarmente le lezioni”. Peccato che nelle foto a corredo si vede l’aula della Di Cesare presidiata da manifestanti che espongono foto e striscioni. Una situazione talmente “regolare” che la preside Punzi potrebbe replicarla anche durante le sue lezioni, come utile riconoscimento del “gesto evocativo” propugnato dai nipotini di Tajani.
Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano
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