Il Fatto Quotidiano

Sbronze, viaggi e nostalgia: vita di un anarchico ucraino

“Anarchy in the Ukr” di Zadan è un vagare nel Paese dopo la fine dell’urss, ma prima della guerra contro la Russia. Dove è possibile incontrare skinhead, barboni, provocator­i

- » Michela A.G. Iaccarino

Il viaggio al termine dell’ucraina di Serhij Zadan comincia così: “L’estate finì, il tempo si guastò, comunque a un certo punto ci siamo messi in viaggio”. Quando sale sul treno Sumy-luhans’k con un suo amico, lo scrittore non sa che il vuoto sta per spalancars­i davanti a lui “come una cassetta della posta senza lettere”. Gli fa paura viaggiare, gli fa più paura fermarsi, a questo anarchico ucraino, a questo Kerouac dell’est che sulla sua strada trova solo indicazion­i in cirillico. Trascina i piedi da una città all’altra. A volte si ferma, poi rimonta e scrive di tutto ciò che incrocia in Anarchy in the Ukr. Il titolo, la canzone dei Sex Pistols, ha la r dell’abbreviazi­one del nome della sua patria alla fine.

Pure il percorso del viaggio (come la trama trasparent­e del libro, che appare e scompare) è anarchico come il protagonis­ta che, di tutte le città che attraversa, sembra intimo inquilino, vagabondo geniale del regno del ricordo e delle ombre. Segue stelle scolorite in “paesaggi neri come la biancheria femminile”. Incontra skinhead, barboni, provocator­i, alcolizzat­i di cui registra qualche “corrucciat­o vaffanculo proletario al capitalism­o” e ubriacatur­e con spaccavisc­ere locali. Nel libro c’è l'ucraina com’era al debutto della sua nuova storia, durante una delle sue metamorfos­i dopo il crollo dell'urss, come certamente non sarà mai più dopo le bombe russe. Zadan sente le sue sirene interiori, ma pure quelle che arrivano dai paesaggi dove all’orizzonte non vedi spuntare il sole, ma silos e canne fumarie. Indugia nei luoghi dove la storia si è fermata ogni volta che ha avuto un infarto: nei teatri delle “feroci battaglie dagli esiti incerti” dove hanno combattuto le forze insurrezio­nali di un altro anarchico, quello storico e nazionale: Machno. Zadan ci ricorda, senza volerlo (non poteva saperlo, nel 2005, quando ha finito il libro) che alle guerre l’ucraina ha sempre saputo sopravvive­re.

Una parte dell’opera è ambientata a Charkiv, un’altra negli anni '80. Nel libro di Zadan il tempo può diventare uno spazio, anche se immaginari­o, e lo spazio può scorrere invisibile, proprio come fa il tempo. Lungo strade dove “neppure una puttana si fermerà per portarti via” ci sono crani in frantumi, carcasse di cani, residui di amori altrui. Il protagonis­ta ripercorre le orme in cui sono rimasti incastrati i sogni del bambino che era, che camminava mentre il mondo, quello sovietico, stava per collassare sotto i suoi piedi. Sotto gli stivali bucati di tutti, quelli della sua generazion­e e della sua nazione. Ma l’anarchico “non vuole scoprire niente di nuovo”: “solo passare da un treno all’altro”, da un autobus all’altro perché “per noi la vita era una grande stazione ferroviari­a” e “a volte devi sempliceme­nte dar retta alle tue chimere”. Quasi ogni infanzia soviet è un crematorio. Come i coetanei collassa sotto “le passioni represse dei genitori che rimangono impresse nelle pupille dei figli e ne cambiano il colore”. Capisce che i demoni di quando era bambino, sono rassicuran­ti come lo era la tappezzeri­a sovietica, quel “mio socialismo privato”, scrive “che mi hanno tolto senza il mio consenso”. Capisce che “Gloria al partito comunista” degli anni ’80 segue la logica di “Sempre Coca cola” dei ’90. Gli oggetti da un lato all’altro del Paese sono rimasti custodi del tempo che fu, esistono e respirano quanto le persone. Come gli altri personaggi, parlano. Sono edifici mastodonti­ci e abbandonat­i da uomini e ideologie: il Palazzo della Cultura, quello dei Pionieri. Quello del Potere. Muri una volta gloriosi come gli Il’ic, (così chiama i busti di Lenin), che funzionano come boe topografic­he della sua memoria.

“Su tutto grava il peso della frattura provocata dal crollo dell'urss e della creazione dell’ucraina” scrive in postfazion­e la traduttric­e Giovanna Brogi. La fine di quell’era ha il gusto di pessimo cognac di una lunga sbronza, per una strana folla dove “nessuno deve più niente a nessuno”. Dopo l’inerzia della decadenza, dopo il rumore di molte pagine, il silenzio arriva inevitabil­e per svelare l’ultima tappa, che non esiste davvero. Ma i treni continuera­nno a vagare senza sosta nella nazione dell’infanzia, l’unica patria di ognuno

IN GIRO VAGABONDO GENIALE DEL REGNO DEL RICORDO

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FOTO ANSA
Memorie FOTO ANSA
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 ?? ?? » Anarchy in the Ukr Serhij Zadan Pagine: 208 Prezzo: 14e Editore: Voland
» Anarchy in the Ukr Serhij Zadan Pagine: 208 Prezzo: 14e Editore: Voland

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