Basilicata, il Campo c’è: Pd e 5S scelgono Marrese (e Calenda resta fuori)
Il tavolo si riapre e il Movimento accetta il nome dei dem: a sfidare Bardi sarà il presidente della provincia di Matera
Il tira e molla sul famigerato campo largo, almeno in Basilicata, si è chiuso con un accordo. Pd e Cinque Stelle hanno trovato la quadra attorno al dem Piero Marrese, sindaco di Montalbano Jonico e presidente della provincia di Matera alla seconda consiliatura.
Dopo la rinuncia di Domenico Lacerenza, con i cocci della coalizione da raccogliere dopo giorni di polemiche e ripicche, il centrosinistra ha trovato la soluzione in extremis. La rottura di sabato è stata ricomposta subito, i colloqui sono iniziati in mattinata e proseguiti nel pomeriggio, l’accordo è stato annunciato ufficialmente in serata, con un comunicato firmato dai responsabili locali dei partiti di centrosinistra: “Le forze politiche del campo democratico, progressista ed ecologista della Basilicata si sono riunite e hanno indicato all’unanimità in Piero Marrese il candidato alla presidenza della Regione per le elezioni del prossimo 21 aprile”. Una proposta, si legge, che “resta aperta ad altre forze civiche dello stesso campo che vorranno aderire, con l’obiettivo di offrire ai cittadini della Basilicata un’alternativa di governo migliore rispetto a quella fallimentare degli ultimi cinque anni dell’amministrazione Bardi”.
M A R R ES E è un avvocato 43enne. È diventato presidente della Provincia a 38 anni, il più giovane della storia di Matera. Nel piccolo Comune che amministra – Montalbano Jonico ha poco più di 6mila abitanti – è stato eletto con percentuali bulgare (89,8% dei voti). Ha una lunga esperienza nella pubblica amministrazione e un altrettanto longevo percorso di partecipazione politica, sin dagli anni dell’università. Marrese è un moderato, in una vecchia intervista dichiarava che la sua filosofia di vita “è lo scoutismo”. Al congresso del Pd aveva appoggiato Stefano Bonaccini.
Né i Cinque Stelle né Fratoianni
e Bonelli hanno posto veti sulla sua candidatura, così in Basilicata si andrà a ricomporre lo stesso perimetro della coalizione che ha sostenuto Alessandra Todde in Sardegna (Pd, M5S, Avs e socialisti) con l’aggiunta di +Europa.
Quello di Marrese non è certo un profilo rivoluzionario, ma la scelta condivisa ha un significato che va ben oltre i confini lucani, soprattutto per Pd e M5S: la rottura in Basilicata, da sommare alla distanza incolmabile che si è creata in Piemonte, avrebbe compromesso i rapporti futuri e l’ipotesi di un percorso comune come alternativa alla destra di governo. Ha prevalso quindi la priorità di tenere in vita la speranza di un’alleanza giallorosa a medio termine a livello nazionale.
Non a caso il più deluso ieri era Carlo Calenda, che aveva scommesso sul naufragio dei rapporti tra Elly Schlein e Giuseppe Conte. “Schlein, dopo la figuraccia del candidato ritirato, ha riconfermato l’adesione al veto dei 5S sulla partecipazione di Azione alla nuova coalizione”, ha scritto Calenda su X, “confermando la definitiva svolta del Pd verso il campo populista e la leadership di Conte. Spiace vedere quello che una volta era un grande partito riformista ridotto a ruota di scorta dei 5S”.
Con ogni probabilità Azione (rappresentata in Basilicata dai fratelli Pittella) si riunirà agli ex alleati di Italia Viva a sostegno di Vito Bardi, presidente uscente e candidato del centrodestra. Il nome di Marrese potrebbe invece consentire al centrosinistra di tenere dentro la coalizione lucana anche Angelo Chiorazzo, ma in serata in serata il re delle coop ha ribadito l’intenzione di candidarsi da solo, alla guida di una lista civica. Con lui la trattativa è aperta.
PER COME
si erano messe le cose sabato sera, con i vertici del Movimento che lasciavano filtrare la possibilità dell’avventura solitaria in Basilicata, è grasso che cola. Per il centrosinistra il tempo era già praticamente scaduto, l’accordo è arrivato all’ultimo miglio, visto che le liste elettorali vanno presentate entro il 23 marzo.
La sfida elettorale – si vota il 21 e 22 aprile – appare comunque in salita, contro un presidente di Regione che sarà appoggiato da una coalizione – quella sì – davvero larga, da Meloni fino a Renzi. Ma ancora più che la sfida a Bardi, Pd e Cinque Stelle si giocavano un pezzo dell’alleanza futura.
La coalizione Sarà la stessa che ha sostenuto la vittoria di Todde in Sardegna (stavolta si aggiunge anche +Europa)
una ricostruzione che, alla vigilia dei 15 anni dalla tragedia del terremoto, è ancora lontanissima dal completamento. È dal 6 aprile del 2009 che la vivacità culturale del capoluogo abruzzese, che prima vantava una delle medie spettatori a teatro più grandi d’italia, non sa dove mettere in scena produzioni artistiche di rilievo, almeno in inverno. Sono infatti chiusi pure i teatri più piccoli, come San Filippo e Sant’agostino. Mentre si è arenato definitivamente il progetto di un futuristico teatro da mille posti a Piazza d’armi, con buona pace anche degli australiani, che con una raccolta fondi solidale avevano destinato 3 milioni di euro al piano di riqualificazione dell’area. Le istituzioni culturali aquilane oggi possono contare soltanto sul Ridotto del Teatro comunale, una sorta di sala laterale dell’edificio storico da 350 posti, che è appannaggio soprattutto delle produzioni del Teatro stabile d’abruzzo guidato dai filo-meloniani Pierangelo Buttafuoco e Giorgio Pasotti. E poi c’è l’auditorium in legno di Renzo Piano realizzato dopo il terremoto: ha solo 240 posti a sedere e ha bisogno di importanti lavori di manutenzione che vengono rinviati da tempo. Gli altri luoghi culturali, pubblici e privati, in rari casi arrivano a superare il centinaio di posti a sedere.
MA I PARADOSSI della Capitale della cultura 2026 non finiscono qui. Per esempio L’aquila non ha nemmeno le scuole: zero quelle tornate in centro città dopo il terremoto, migliaia gli alunni e gli studenti che seguono lezioni ancora oggi dopo 15 anni nei Musp, i Moduli ad uso scolastico provvisorio. Ora la missione è quasi impossibile: accelerare la ricostruzione a tal punto da recuperare il tempo perduto e finire tutto entro due anni. Almeno la sistemazione del Teatro comunale. O sarà la figuraccia italiana della cultura 2026.