Il Fatto Quotidiano

AL-SISI È FINITO SOTTO LA SCURE DEL FMI: MA COSÌ PAGA IL POPOLO

Il Cairo ha deciso di far fluttuare la sua moneta, come richiesto dal Fondo monetario internazio­nale e grazie ai massicci investimen­ti degli Emirati. Ma le scelte scellerate del governo sono destinate a ricadere sui cittadini

- » Romaric Godin Traduzione di Luana De Micco

L’Egitto ha ceduto. Il 6 marzo scorso, la Banca centrale egiziana (Cbe) ha deciso di lasciare fluttuare la sua valuta, la sterlina egiziana, e di aumentare i tassi di interesse di 6 punti portandoli al 28,75%. Il tasso di cambio con il dollaro si è adeguato subito ai livelli del mercato nero, cedendo quasi il 38% del suo valore e stabilizza­ndosi a circa 50 sterline per dollaro. La manovra figurava da anni tra le richieste più insistenti del Fondo Monetario Internazio­nale (Fmi). Poche ore dopo l'annuncio della CBE, il Fmi ha sbloccato un’estensione del prestito in essere di 5 miliardi di dollari fino a 8 miliardi. Con dei tassi di interesse tra i più alti al mondo e una valuta a buon mercato, l'egitto diventa una destinazio­ne attraente per chi detiene “hot money”, termine utilizzato per indicare denaro liquido estremamen­te mobile. “Andremo a fare affari in Egitto”, ha dichiarato, sfregandos­i le mani, Nick Eisinger, gestore obbligazio­nario per i mercati emergenti di Vanguard, tra le più grandi società di gestione al mondo, sentito da Bloomberg.

Ma per molti dei 105 milioni di egiziani questo è solo l'inizio della crisi. La popolazion­e, che già subisce l'austerità imposta dal FMI e l'inflazione (al 29,8% su base annua a gennaio), subirà anche gli effetti della recente svalutazio­ne massiccia sui prezzi e dell'aumento dei tassi di interesse. La misura presa il 6 marzo dalla CBE è la diretta conseguenz­a di un altro fatto che ha colto di sorpresa il Medio Oriente: il 23 febbraio, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, ADQ, ha annunciato che avrebbe realizzato il più grande investimen­to diretto estero della storia dell'egitto, iniettando 35 miliardi di dollari in un progetto di sviluppo della città di Ras El-hekma, sul Mediterran­eo. Questa operazione ha permesso alle autorità egiziane di ottenere fondi in tempi brevi: 11 miliardi sono già depositati dagli Emirati presso la CBE e saranno convertiti in sovvenzion­e e 10 miliardi sono già stati versati al Cairo. Il denaro è andato a rafforzare le riserve valutarie del Paese in un momento in cui erano pericolosa­mente basse: solo 35 miliardi di dollari a inizio anno, quasi pari ai rimborsi del debito in valuta in scadenza nel 2024. In altre parole, l'egitto rischiava il default.

MA UNA VOLTA SVENTATO

il default, grazie al denaro degli Emirati, ha potuto obbedire al FMI nella speranza di ripristina­re la fiducia degli investitor­i internazio­nali. Come mai l'egitto, la più grande economia dell'africa e la quarta del Medio Oriente (con un PIL di 477 miliardi di dollari nel 2022), è precipitat­o in questa crisi? L'economia del Paese, specializz­ata nella produzione manifattur­iera di fascia bassa, non è molto produttiva e dipende molto dalle importazio­ni, sia per i prodotti industrial­i di fascia alta, come automobili e farmaci, sia per i prodotti agricoli. A causa dell'urbanizzaz­ione, l'egitto, “il granaio del mondo” nell'antichità, non è più in grado di sfamare una popolazion­e che cresce a un tasso annuo del 2%. La prima crisi risale al 2010, quando l'instabilit­à politica nel Paese aveva avuto un grosso impatto sul turismo. L'egitto è stato costretto a fare appello al FMI per la prima volta nel 2016. All'epoca il FMI aveva imposto una rigida austerità e la prima svalutazio­ne della sterlina. Con la pandemia del

2020, i turisti si sono di nuovo fatti rari e così i dollari. L'ossessione del presidente Abdel Fatah al-sissi è di “modernizza­re” il Paese. Ma, a parte alcuni investimen­ti, insufficie­nti, nella produzione di energia elettrica, il governo ha sviluppato soprattutt­o progetti urbani di prestigio, scollegati dalla realtà economica del Paese. Il più noto è la creazione di una “nuova capitale amministra­tiva” a ovest del Cairo, in pieno deserto, che sarà anche un gigantesco centro commercial­e. Una ONG ha stimato il costo della sola prima fase dei lavori a quasi 60 miliardi di dollari. Al-sissi ha quindi fatto ampio ricorso al debito in valuta estera, aumentando­lo di 164 miliardi di dollari in dieci anni. Nel 2022, la guerra in Ucraina ha avuto un impatto diretto sul Paese, uno dei principali importator­i di grano ucraino. L'egitto ha dovuto acquistare il grano altrove, a un prezzo più alto e in dollari. Nel 2022, ha dunque di nuovo fatto appello al FMI, che ha insistito per ripetere l'esperienza del 2016 e per lasciare fluttuare la sterlina egiziana. Il governo ha accettato di svalutare la moneta tre volte tra marzo 2022 e marzo 2023, con l'effetto di accelerare l'inflazione, che ha raggiunto il 40% nell'agosto 2023.

LA CRESCITA

si è fermata al 3% nel 2023, bassa per un Paese come l'egitto. La crisi si è aggravata ulteriorme­nte alla fine dell'anno, con la guerra tra Israele e Hamas, che scoraggia i turisti, e la pressione dei ribelli yemeniti nel Mar Rosso, poiché i diritti di passaggio per il Canale di Suez rappresent­ano una fonte importante di valuta estera. La situazione finanziari­a dell'egitto è diventata ancora più critica quando, nel dicembre 2023, il FMI si è rifiutato di erogare una nuova tranche di aiuti. Per molti osservator­i il default a quel punto era inevitabil­e, fino al salvataggi­o da parte degli Emirati a febbraio. Il Cairo sta negoziando anche con l'arabia Saudita un progetto simile nel Sinai orientale, a Ras Ghamila, sul Golfo di Aqaba. Secondo i giornali locali, l'accordo si eleva a 15 miliardi di dollari. I sauditi punterebbe­ro a sviluppare un vasto complesso turistico di lusso che si estenderà da Ras Ghamila a Neom, il progetto saudita di città futuristic­a, passando per le isole di Tiran e Sanafir.

L'obiettivo è di trasformar­e Ras El-hekma nella Dubai del Mediterran­eo e attirare 30 milioni di turisti ogni anno entro il 2027. Ma l'egitto non è un emirato del Golfo e non può permetters­i di vivere con le rendite di un hub finanziari­o e gli introiti di un gigantesco centro commercial­e di lusso. Inoltre gli investimen­ti dell'arabia Saudita e degli Emirati non sono “regali”. Sotto la pressione finanziari­a, il Cairo sta vendendo territori ai suoi vicini del Golfo, il cui obiettivo principale non è lo sviluppo dell'egitto, ma l'acquisizio­ne di quote di mercato nel turismo di lusso. Si può ipotizzare che questi siti creeranno posti di lavoro per gli egiziani. Ma il turismo di lusso non è molto diverso dal turismo di massa per la popolazion­e locale, spesso ridotta ai lavori meno retribuiti. Se questi progetti possono migliorare l'afflusso di valuta estera, il che resta da confermars­i, non cambierann­o i problemi di fondo dell'economia egiziana. La principale preoccupaz­ione legata alla nuova politica economica portata avanti dal governo è che gli investitor­i internazio­nali si concentrer­anno solo su questi progetti redditizi, a scapito della struttura produttiva del Paese, mentre il governo, che non ha fatto nulla finora, non potrà sviluppare alcuna politica industrial­e. Il rischio è di scavare ancora di più le diseguagli­anze. Gli ultimi dati del 2019, che quindi non tengono conto della crisi inflazioni­stica, indicavano un tasso di povertà in Egitto del 29,7%. Secondo la Banca Mondiale il 60% della popolazion­e è a rischio povertà. Con l'attuale crisi inflazioni­stica questo rischio è diventato

La nuova città di Ras El-hekma Il fondo degli Emirati ha effettuato il più grande investimen­to estero per il Cairo: 35 miliardi di dollari

realtà. I prezzi dei generi alimentari sono aumentati del 52%. A febbraio, il governo ha annunciato il “più grande piano di sostegno sociale nella storia dell'egitto”, promettend­o 180 miliardi di sterline (3,6 miliardi di dollari dopo la svalutazio­ne). La decisione più eclatante è stata l'aumento del 50% del salario minimo a 6.000 sterline e l'aumento di 1.000 sterline dello stipendio dei dipendenti pubblici. Ma gran parte di questi aumenti salariali saranno inghiottit­i dalla svalutazio­ne e dall'inflazione. Oxford Economics prevede una crescita dell'1,9% nel 2024, con un'inflazione media di quasi il 36%. E poi ormai è il FMI a dirigere Il Cairo: con un deficit pubblico vicino al 9% del PIL, è probabile che il FMI, appoggiato dai mercati internazio­nali, chieda ulteriori tagli del budget. Il FMI pretende “riforme struttural­i” per attrarre investimen­ti che di fatto non migliorano la vita delle persone. L'egitto sembra destinato a diventare un Paese in cui una popolazion­e sempre più povera osserverà da lontano i turisti fare shopping in lussuosi centri commercial­i.

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LO CHOC UCRAINO Dopo il freno al turismo per il Covid, la guerra fa mancare il grano: i cereali a prezzi più alti pesano sull’economia
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FOTO ANSA L’aiuto esterno La Banca centrale egiziana, il mercato del Cairo. Al-sisi con Mohammed bin Salman Al Saud

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