Hollywood, dietro gli Oscar le barricate per fermare L’AI
Dal blocco di sette mesi contro i salari da fame danni per 6 mld di dollari e pioggia di licenziamenti
Scene di lotta di classe a Beverly Hills. La festa degli Oscar appena assegnati ha dato, come da copione, l’immagine tirata a lucido di un cinema in ottima salute. Ma l’anno scorso Hollywood è stata bloccata per 148 giorni, da maggio a settembre, dallo sciopero del sindacato degli sceneggiatori Writers Guild of America e poi ancora, da luglio a novembre, dalla fermata di 118 giorni della Sag-aftra, l’unione degli attori. Una rivolta come non se ne vedevano dal 2007-08, che continua la stagione delle lotte iniziata nel 1960. Il sisma è partito dalla più classica delle faglie, la questione salariale: compensi da fame per decine di migliaia di attori e scrittori per il cinema, la tv e l’online, miliardi a pochi boss delle major e delle piattaforme di streaming. Ma a monte ci sono la desertificazione dei diritti e soprattutto i rischi dell’intelligenza artificiale.
L’IMPATTO è stato pesante: i primi calcoli fissavano a 6 miliardi di dollari i danni dello sciopero per il settore che negli Usa, tra occupati diretti e indotto, dà lavoro a 2 milioni di persone. L’epicentro è stata Los Angeles, ma le ricadute si sono sentite anche ad Atlanta e New York, nel Montana, in Georgia e Nuovo Messico. Ora c’è chi ridimensiona le cifre a un quarto di quella stima. Ma la mecca del cinema è stata paralizzata: una sessantina i film rinviati o cancellati, tra i quali produzioni come Dune 2, franchise come Avatar, Avengers, Ghostbusters, Signore degli Anelli, Superman, Spider-man, Super Mario Bros, Star Wars, Transformers, il s equ el di Dirty Dancing e Povere creature. Quasi 190 le serie tv bloccate, una decina i reality e le trasmissioni tv messi in stand by.
Alla base dello scontro le condizioni dei lavoratori. A fronte di 12 piattaforme di streaming ai cui ad nel 2022 sono andati compensi complessivi da 1 miliardo, l’87% degli attori sindacalizzati guadagna meno di 26 mila dollari l’anno senza assicurazione sanitaria.
Il fatto è che, dopo anni di boom, le piattaforme digitali ora fanno i conti con l’eccesso di offerta, riducendo il numero delle produzioni e le puntate per ogni serie, tagliando i budget, togliendo dai cataloghi intere serie poco redditizie, aumentando il costo mensile degli abbonamenti e licenziando migliaia di addetti. Casey Bloys, presidente e ad di Hbo, ha dichiarato di recente che “l’idea che tutto ciò che un’azienda produce sarà in un unico posto a 15 dollari al mese, per l’eternità, è nuova ma non è fattibile”. Tra pochi anni molte delle piattaforme attive oggi saranno scomparse o acquisite dai concorrenti. Intanto comunque l’industria macina soldi: quest’anno i ricavi globali di cinema, streaming e tv dovrebbero toccare i 1.050 miliardi di dollari, in aumento del 6,4% su base annua. La crescita più impressionante arriverà proprio dal grande schermo, che dovrebbe vedere i ricavi crescere del 18% sul 2023, con Hollywood seduta su 130 miliardi di dollari di incassi.
Ma questa cuccagna non finisce nelle tasche dei lavoratori. I loro redditi sono falcidiati dai tagli ai residuals, i diritti economici che in epoca di tv lineare erano sostenuti per tutti dalle repliche e dalla vendita di supporti fisici, ma che sono stati di fatto azzerati dal modello di business globale degli streamers che lanciano prodotti digitali in contemporanea in tutto il mondo. Mentre gli attori di serie come Friends per anni hanno continuato a incassare diritti per milioni, secondo la Writers Guild of America oggi la replica di uno spettacolo trasmesso in prima serata sulla tv Abc frutta al suo sceneggiatore in media 24.500 dollari circa di residuals. Ma se quello stesso show va su Netflix, i diritti calano a 20mila dollari e su Hbo
Max a 13.300. Ma i diritti sono ulteriormente crollati a livelli da fame: “Il mio primo assegno ‘residuo’ per uno show che ho scritto era di 12 mila dollari. Ho appena ricevuto un residual per il mio programma in streaming: 4 dollari”, ha twittato la sceneggiatrice Kyra Jones, ripresa dalla Associated Press. Altri hanno mostrato assegni anche di pochi centesimi l’uno. A Hollywood decine di migliaia di persone che lavorano a contratto come attori o sceneggiatori così non riescono più ad arrivare a fine mese e sono costrette a sobbarcarsi secondi o terzi lavori. Ma non basta: negli Usa da maggio 2023 sono scomparsi circa 45 mila posti di lavoro nell’industria dell’intrattenimento, tra attori, sceneggiatori, troupe, fotografi, operai, tecnici, truccatori, impiegati e tutto il variegato mondo delle professioni che gravita attorno ai set.
È l’effetto dei tagli sempre più duri che le major cine-tv e gli streamers stanno imprimendo al mercato, nel tentativo di contenere i costi per riportare in equilibrio i conti economici delle aziende, scassati da anni di produzioni mastodontiche e abbonamenti a prezzi stracciati nella corsa ad accaparrarsi clienti a qualsiasi costo. Ora il mercato è saturo e per non perdere abbonati le piattaforme di streaming offrono contratti a prezzo blocca
Rimpiazzati dai deep fake Le major volevano sostituire scrittori con bot automatici e attori con copie digitali: i sindacati li hanno sconfitti
to infarciti però da spot pubblicitari: un’eresia rispetto agli standard che parevano immutabili solo pochi anni fa.
Le piattaforme di streaming, intanto, sono entrate in una fase di concentrazione che lascerà sul campo pochi giganti. Il fatturato globale del settore quest’anno dovrebbe crescere di un quinto a 672 miliardi di dollari. Nel 2023 nel Nord America le piattaforme hanno ottenuto ricavi per 217 miliardi, ma sono di fronte a gravi problemi di bilancio. Chi è sicuramente messo meglio della concorrenza è Netflix che, dopo perdite miliardarie, nel 2023 è riuscito a mettere a segno ottime performance. L’aumento a doppia cifra dei suoi canoni mensili di abbonamento (copiato da quasi tutti i concorrenti) si è tradotto in una crescita del 12,5% dei ricavi nel 2023 e non ha pesato sui clienti, cresciuti di 13 milioni nell’ultimo trimestre dell’anno scorso a 260 milioni. Gli utili operativi sono triplicati e consentiranno di alzare gli investimenti per nuove produzioni dai 13 miliardi del 2023 a 17 quest’anno. È andata molto peggio invece alle altre major a stelle e strisce come Disney, Warner Bros Discovery, Comcast e Paramount, che sono alle prese con una vera resa dei conti dopo che l’anno scorso hanno perso oltre 5 miliardi proprio nei servizi di streaming lanciati per rispondere a Netflix.
MA IL CONFLITTO a Hollywood si è giocato soprattutto su un tema fondamentale: l’uso dell’intelligenza artificiale. A luglio, gli studi offrivano ai sindacati in sciopero una “proposta rivoluzionaria” sulla Ai “che protegge le sembianze digitali degli attori”. Ma l’offerta prevedeva che gli interpreti minori potessero essere scansionati, pagati per la giornata e poi trasformati in personaggi digitali che gli studi avrebbero potuto usare senza consenso “per l’eternità”, anche dopo la loro morte. Alla fine, l’accordo raggiunto prevede invece che eventuali repliche digitali di ciascun attore dovranno essere contrattate da parti, mentre i “performer sintetici”, veri deep fake in forma umana realizzati per lo schermo con l’ai, potranno essere usati solo dopo intese sindacali caso per caso.
Quanto al contratto degli sceneggiatori, che sarà in vigore sino al primo maggio 2025, stabilisce che il materiale scritto generato dall’intelligenza artificiale non sarà utilizzabile a livello di produzioni contrattualizzate e che l’ai non potrà essere equiparata agli scrittori umani. Gli sceneggiatori potranno usarla nei loro lavori se la società di produzione acconsente, ma le aziende non potranno chiedere agli scrittori di usarla e dovranno rendere noto se qualsiasi materiale fornito agli sceneggiatori è stato generato da Ai o incorpora materiale prodotto dai software. Il sindacato poi potrà proibire l’utilizzo di materiale prodotto degli scrittori per addestrare l’intelligenza artificiale.
Una svolta fondamentale. Secondo il New York Times, “tutti, dai lavoratori dell’auto agli impiegati, dovrebbero prestare molta attenzione a come è stato raggiunto questo accordo, perché costituisce un precedente enorme per i rapporti di lavoro in un futuro digitale”. Nel 21° secolo, l’esercito industriale di riserva da fermare sono Chatgpt e le sue sorelle.