Il Fatto Quotidiano

Odo le multinazio­nali far festa: gli Usa bloccano la minimum tax

L’accordo del 2021, già depotenzia­to nelle intese tecniche, è fermo al Senato statuniten­se: ci si deve accordare su come spartirsi i soldi e Washington ci perderebbe...

- » Tommaso Faccio

“Le imprese digitali sono quelle che più di ogni altra, non dico evadono, ma sfuggono di più all’imposizion­e fiscale e questo è inaccettab­ile. Bisogna trovare il modo per far partecipar­e alla tassazione anche queste imprese che altrimenti sfuggono e si portano via un sacco di soldi”. Era il 2017 e a parlare era l’allora ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, con l’italia seduta al tavolo negoziale del G20 per trovare una soluzione politica al problema dell’elusione fiscale dei giganti del web, con i vari Google, Facebook, Amazon, Netflix, Booking, tutte imprese con vendite monstre in Italia, abili nello sfruttare la “generosità” di altri paesi europei come Irlanda, Lussemburg­o e Olanda per parcheggia­re lì gran parte degli utili relativi alle vendite agli italiani.

Le pratiche elusive delle multinazio­nali deprivano, su scala globale, gli erari dei Paesi di un gettito equivalent­e al 10% di quello complessiv­o dell’imposta sul reddito delle società. Mille miliardi di dollari spostati nei paradisi fiscali solo nel 2022, pari al 35% di tutti gli utili contabiliz­zati dalle multinazio­nali al di fuori del Paese in cui hanno sede. Risorse che potrebbero essere spese per sostenere le famiglie di fronte allo choc inflazioni­stico legato alle tensioni internazio­nali e liberare risorse per finanziare la transizion­e energetica.

A OTTOBRE 2021,

sotto il ministro Daniele Franco, arriva finalmente l’accordo globale sulla tassazione fondato su due pilastri: una tassazione globale minima del 15% e una redistribu­zione di una piccola fetta degli utili globali delle 100-200 più grandi multinazio­nali (digitali come Apple, Facebook ma anche il conglomera­to dell’alta moda LVMH e la casa automobili­stica Volkswagen) sulla base del fatturato. Con la tassazione minima globale le filiali di multinazio­nali italiane, americane, inglese dovranno pagare un’aliquota effettiva di almeno il 15% anche nei paradisi fiscali. Una misura che dovrebbe disincenti­vare l’utilizzo dei paradisi fiscali da parte delle multinazio­nali e un primo passo per ripensare un sistema fiscale globale dove anche i vincitori della globalizza­zione sono sottoposti a rego

Retromarci­a al G20 La Casa Bianca aveva spinto per la tassa minima globale, ma adesso non vuole esporsi. Giorgetti: “Rischio naufragio”

le. Celebrata come una vittoria dal G20, un’imposta minima del 15% avrebbe dovuto porre fine alla corsa al ribasso in termini di tassazione e la concorrenz­a fiscale tra Paesi.

Problema: da allora quell’imposta è stata devastata da una serie di loopholes ed esenzioni. Così com’è, dovrebbe aumentare il gettito fiscale globale delle multinazio­nali solo del 4,8%, circa 200 miliardi di dollari all’anno, invece che del 9,5%. Se abolissero le varie esenzioni, i governi potrebbero raccoglier­e 130 miliardi di dollari in più di entrate fiscali. Ma è vero altresì che il 15% è un’aliquota bassa (gli Usa avevano proposto il 21%), vicina a quella di Paesi come l’irlanda (12,5%) che sulla competizio­ne fiscale a danno degli altri hanno impostato un sistema economico e un’aliquota effettiva più bassa di quella che un insegnante o un operaio paga sul proprio stipendio.

Col secondo pilastro, invece, per la prima volta i Paesi si iniziano a dividere i profitti globali delle multinazio­nali tra tutti i Paesi in cui una multinazio­nale opera. Un quarto degli utili globali delle più grandi multinazio­nali al mondo che eccedono il 10% di margine operativo, vale a dire la differenza tra i costi sostenuti per la produzione e i ricavi ottenuti dalle vendite, verrebbe tassata nel Paese dove l’azienda realizza le vendite, con il suo normale prelievo sui profitti societari (in Italia al 24%). Ma se la tassazione minima globale è in vigore in Italia e nell’ue da quest’anno, il secondo pilastro inizia sempre più a prendere le sembianze del gigante con i piedi d’argilla. Ad aggiornaci sul suo stato di salute è stato il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti: “Temo che la tassazione globale delle multinazio­nali vada a naufragare, questo ho percepito partecipan­do agli incontri del G20 e G7”. Il timore del ministro nasce dal fatto che l’entrata in vigore di una misura che permettere­bbe anche al nostro Paese di tassare parte dei profitti delle multinazio­nali digitali richieda l’approvazio­ne di un trattato fiscale internazio­nale da parte dei due terzi del Senato americano. Durante il meeting del G20 a San Paolo, in Brasile, lo scorso febbraio alcuni governi del G7 hanno inutilment­e messo pressione a Janet Yellen perché nel comunicato finale si sottolinea­sse l’importanza di far entrare in vigore questa misura nei prossimi mesi. Ma se è anche grazie alle capacità negoziali di Yellen che un accordo su questa misura è stato raggiunto nel 2021 tra i paesi del G20, anche la segretaria del Tesoro Usa deve ora fare i conti con la politica nazionale, dove un accordo tra democratic­i e repubblica­ni per far passare questa misura al Senato è difficile, quasi impossibil­e prima delle presidenzi­ali di novembre.

“È difficile credere che ci sia un supporto bipartisan per decidere il nome di un ufficio postale, figurarsi un trattato internazio­nale”, ha commentato il deputato Usa Kelly durante la discussion­e su questa misura. Il nail in the coffin, colpo di grazia, sull’approvazio­ne arriva dalla la stima rivelata dallo studio del Joint Committee on Taxation americano che mostra come l’entrata in vigore della misura avrebbe portato nel 2021 a una perdita per le casse dello Stato di almeno 1 miliardo e 400 milioni di dollari.

Mentre il gigante dai piedi d’argilla sta lentamente naufragand­o nel calderone della politica americana, il governo italiano osserva impotente un sistema fiscale dove le grandi multinazio­nali vincitrici della globalizza­zione continuano a pagare meno di chi fatica ad arrivare a fine mese. Per il governo Meloni, che ha fatto suo il motto “no alla patrimonia­le, sì alla giusta tassazione per i giganti del web” e alle prese con la presidenza italiana del G7 fino a fine anno, non un gran bel vedere.

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FOTO LAPRESSE/ANSA Un centro Amazon Janet Yellen e Giancarlo Giorgetti

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