L’accordo con Invimit: Sala ora vuole vendersi le case popolari
La Sgr del Tesoro raccoglie fondi privati sul mercato, promettendo ritorni, per comprare il patrimonio dei Comuni: Milano fa da apripista coi suoi 22mila appartamenti
AMilano il Comune possiede 22 mila case popolari (altre 30mila abbondanti sono dell’aler, che è regionale, ndr). Vi vivono oltre 100 mila persone, in grande maggioranza con un reddito inferiore ai 15 mila euro. Ci sono 17 mila domande in lista d’attesa, 3.600 tra sfratti e pignoramenti, 4.500 alloggi sfitti. Gestire l’edilizia popolare è difficile. Qual è la soluzione escogitata dall’assessore alla casa Pierfrancesco Maran (Pd)? Disfarsene e passarle a Invimit spa, una Sgr (cioè un fondo d’investimento immobiliare) creata dal ministero dell’economia.
INVIMIT NEL 2023
ha infatti lanciato un progetto chiamato “Opa”, una Offerta Pubblica di Acquisto del patrimonio immobiliare degli 8 mila comuni italiani: in sostanza Invimit raccoglie fondi dalla finanza privata - che ovviamente si aspetta un ritorno, ancorché contenuto, dell’investimento - e rileva gli immobili dai sindaci per “valorizzarli”. Quelli inutilizzati, si diceva un anno fa, ma il caso Milano segnala che il progetto è diverso: in teoria, insomma, nel prossimo futuro 850 mila abitazioni popolari in tutta Italia potranno diventare proprietà dei fondi di investimento che potranno sfrattare gli abitanti, demolire, ricostruire e vendere le nuove abitazioni con procedure molto sbrigative, che ovviamente i Comuni non possono adottare per motivi politici e di consenso.
Come spesso capita per l’immobiliare, è Milano che dà l’esempio mettendo sul mercato le sue case popolari. Idea che era già stata enunciata nel Forum dell’abitare del marzo dello scorso anno, cioè poco prima che Invimit lanciasse il progetto Opa. A metà gennaio la Giunta comunale guidata da Beppe Sala ha accelerato approvando le linee guida dell’accordo con la Sgr del ministero dell’economia: questa operazione finanziaria dovrebbe, a detta dell’assessore Maran, consentire di “passare da 22 a 25 mila abitazioni popolari oltre a produrne 10 mila di housing sociale e a canone concordato”.
Poiché nell’attuare questa politica ci si riferirebbe anche alle esperienze di altre città europee, rammentiamo all’assessore che al
Forum dell’abitare Javier Buron nell’illustrare l’articolata politica abitativa di Barcellona ha enunciato tre fondamentali principi da seguire: costruire edifici, acquisire immobili e requisire case vuote. Proprio il contrario di ciò che si fa a Milano.
Qui da noi, oltre a quelle di housing sociale, anche le case popolari diventeranno una merce sulla quale fare profitto, mentre dovrebbero servire a dare una abitazione a chi non se la può permettere e calmierare il costo degli immobili e degli affitti, ormai insostenibile anche in periferia.
Si deve chiedere a Maran e al sindaco Sala come questa operazione, che dovrà garantire il guadagno agli investitori privati, possa mettere a disposizione abitazioni di edilizia popolare a minor costo. È invece certo che i cittadini più poveri verranno espulsi da molti edifici popolari per renderli ben più remunerativi e destinarli a famiglie in grado di sostenere il maggior costo necessario a far tornare i conti.
Invimit individuerà gli interventi da “valorizzare”, attraverso dismissioni e vendite degli edifici e dei quartieri più centrali, meglio serviti dai mezzi di trasporto, prossimi a parchi e scuole. Edifici e quartieri che, dopo essere stati abbandonati al degrado, potranno anche essere demoliti, ricostruiti e trasformati
E ADESSO? MOLTI DOVRANNO ANDARSENE, NELLE ZONE DI PREGIO SI VENDERÀ
in quelle diecimila abitazioni di social housing promesse dall’assessore Maran.
Sindacati inquilini e comitati di quartiere si sono mobilitati lanciando un appello per interrompere questo accordo e aprire il confronto, per restituire valore sociale a questo patrimonio fondamentale per la città.
Invimit, che dichiara di “essere attenta all’impatto sociale delle iniziative di investimento”, non darà risposta al bisogno di abitazioni a prezzi accessibili e sancirà la fine dell’edilizia popolare di Milano realizzata nel corso di oltre un secolo a spese dei lavoratori.