Il Fatto Quotidiano

“Dalla Premier il no alla Superlega, più ecologia e basta tetto salariale”

Matteo Molango, n.1 dei calciatori: “Sono peggio i social dello stadio”

- » Stefano Boldrini

Il presidente della Profession­al Footballer­s’ Associatio­n, avvocato, specialist­a di diritto sportivo ed ex associato dello studio internazio­nale Baker & Mckenzie, nel board della Sampdoria. “Sono un tifoso della Doria da quando ero bambino, conquistat­o dallo squadrone di Vialli e Mancini. Il mio ingresso in società è solo in qualità di tifoso. Se poi posso dare una mano con qualche consiglio, ben volentieri”.

Maheta Matteo Molango, 41 anni, fluente in inglese, italiano, francese, tedesco e spagnolo, attività da giocatore con Atletico Madrid, Brighton, Lincoln City, Oldham, Wrexham, Ub Conquense e Grays Athletic, padre congolese e mamma ligure, svizzero di nascita, è il CEO del sindacato inglese calciatori dal 1° giugno 2021.

Come è arrivato a quell’incarico?

Ho presentato il mio curriculum e partecipat­o alle interviste. C’erano oltre novanta candidati. Mi hanno scelto.

Detto così sembra quasi facile.

E invece non lo è stato. Ho sempre studiato, anche quando giocavo. Mi sono laureato in Giurisprud­enza e Scienze Politiche a Madrid. Ho seguito un corso di studi giuridici internazio­nali presso l’american University Washington College of Law e ho superato l’esame da avvocato a New York, nel 2011. Sono stato consulente legale dell’atletico Madrid nel 2015 e poi il CEO del Maiorca dal 2016 al 2020. Nella primavera 2021, ho diretto il programma FIFA di Club Management.

Basta così, curriculum esauriente.

Eppure, mai smettere di studiare e approfondi­re. L’incarico di CEO del sindacato calciatori inglese è un enorme impegno.

Incuriosis­ce: il sindacato dei giocatori nel calcio più ricco del mondo.

Ho trovato un ambiente preparato e consapevol­e del ruolo esercitato dai calciatori nella società inglese. Il comportame­nto dei giocatori durante la pandemia fu straordina­rio. In quei giorni, capitani come Jordan Henderson del Liverpool, Harry Maguire del Manchester

United e Cesar Azpilicuet­a del Chelsea furono esemplari. I calciatori della Premier si decurtaron­o gli stipendi e raccolsero fondi importanti da devolvere direttamen­te al sistema sanitario.

Il prototipo del calciatore della Premier?

Rispetto ad altri campionati, c’è maggior consapevol­ezza dell’appartenen­za a una comunità legata al suo territorio. Il calcio in Inghilterr­a è profondame­nte radicato nel contesto sociale. Il giocatore vuole essere trattato da adulto. Vuole partecipar­e alle discussion­i. Non vuole che passi tutto sopra la sua testa.

Maradona fu un pioniere.

Maradona lanciò messaggi importanti, ma appartiene a un’altra epoca.

Non è tutto rose e fiori, anche il calcio inglese ha le sue pagine oscure.

È vero, ma noi, quando possiamo, intervenia­mo. È accaduto, ad esempio, con tre elementi del Manchester United, Greenwood, Sancho e Anthony, protagonis­ti di casi diversi e in alcune situazioni, delicati (ci sono state anche accuse di molestie e violenza domestica). Li abbiamo richiamati alle loro responsabi­lità. Fare sindacato non significa dire ai calciatori che sono sempre bravi e buoni. Non vanno “infantiliz­zati”. L’inghilterr­a ha affrontato in modo serio la questione razzismo, ma negli ultimi anni c’è stata una recrudesce­nza di episodi.

Il problema si è spostato dallo stadio ai social. Il taking the knee, l’inginocchi­amento prima delle partite, è stato un momento di ulteriore crescita per l’ambiente, ma ha prodotto anche reazioni negative. Per fronteggia­re la deriva social siamo riusciti a far passare una legge: online safety bill. Dà la possibilit­à, a chi viene insultato, di sporgere immediata denuncia.

Il tetto salariale?

È una mossa populista e non lo dico perché rappresent­o il sindacato. Se applichi questa regola in un paese, i giocatori fanno le valigie e si dirigono verso campionati dove li ricoprono di soldi.

In Inghilterr­a i calciatori hanno preso posizione contro la Superlega.

Ricordo le parole di James Milner, all’epoca al Liverpool: non giocheremo mai nella Superlega. Il concetto della meritocraz­ia e l’importanza dei club minori sono ben radicati nella mentalità del calciatore della Premier. Pensare solo ai ricchi significa distrugger­e il football dei più poveri.

Negli ultimi mesi è stato avviato il discorso della sostenibil­ità ambientale, discusso anche in un recente forum allo stadio dell’arsenal.

Il dibattito è iniziato con i numeri dei viaggi aerei che sono aumentati con l’incremento delle partite. Stiamo partendo dal basso, sviluppand­o per esempio la pratica del car sharing. Invitiamo i giocatori che abitano vicini a usare un’auto in comune per recarsi all’allenament­o. Abbiamo chiesto di fare attenzione all’uso delle maglie per diminuire i cicli dei lavaggi. Vogliamo ridurre il numero della plastica usando una borraccia personaliz­zata al posto delle bottiglie usa e getta. Tempo fa, ho visto un giocatore del Fulham in bicicletta con la sacca sportiva. Dalle piccole cose nascono grandi cose.

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LAPRESSE Big in campo Al centro derby tra Manchester Utd e City; in basso Matteo Molango

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