“Dalla Premier il no alla Superlega, più ecologia e basta tetto salariale”
Matteo Molango, n.1 dei calciatori: “Sono peggio i social dello stadio”
Il presidente della Professional Footballers’ Association, avvocato, specialista di diritto sportivo ed ex associato dello studio internazionale Baker & Mckenzie, nel board della Sampdoria. “Sono un tifoso della Doria da quando ero bambino, conquistato dallo squadrone di Vialli e Mancini. Il mio ingresso in società è solo in qualità di tifoso. Se poi posso dare una mano con qualche consiglio, ben volentieri”.
Maheta Matteo Molango, 41 anni, fluente in inglese, italiano, francese, tedesco e spagnolo, attività da giocatore con Atletico Madrid, Brighton, Lincoln City, Oldham, Wrexham, Ub Conquense e Grays Athletic, padre congolese e mamma ligure, svizzero di nascita, è il CEO del sindacato inglese calciatori dal 1° giugno 2021.
Come è arrivato a quell’incarico?
Ho presentato il mio curriculum e partecipato alle interviste. C’erano oltre novanta candidati. Mi hanno scelto.
Detto così sembra quasi facile.
E invece non lo è stato. Ho sempre studiato, anche quando giocavo. Mi sono laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche a Madrid. Ho seguito un corso di studi giuridici internazionali presso l’american University Washington College of Law e ho superato l’esame da avvocato a New York, nel 2011. Sono stato consulente legale dell’atletico Madrid nel 2015 e poi il CEO del Maiorca dal 2016 al 2020. Nella primavera 2021, ho diretto il programma FIFA di Club Management.
Basta così, curriculum esauriente.
Eppure, mai smettere di studiare e approfondire. L’incarico di CEO del sindacato calciatori inglese è un enorme impegno.
Incuriosisce: il sindacato dei giocatori nel calcio più ricco del mondo.
Ho trovato un ambiente preparato e consapevole del ruolo esercitato dai calciatori nella società inglese. Il comportamento dei giocatori durante la pandemia fu straordinario. In quei giorni, capitani come Jordan Henderson del Liverpool, Harry Maguire del Manchester
United e Cesar Azpilicueta del Chelsea furono esemplari. I calciatori della Premier si decurtarono gli stipendi e raccolsero fondi importanti da devolvere direttamente al sistema sanitario.
Il prototipo del calciatore della Premier?
Rispetto ad altri campionati, c’è maggior consapevolezza dell’appartenenza a una comunità legata al suo territorio. Il calcio in Inghilterra è profondamente radicato nel contesto sociale. Il giocatore vuole essere trattato da adulto. Vuole partecipare alle discussioni. Non vuole che passi tutto sopra la sua testa.
Maradona fu un pioniere.
Maradona lanciò messaggi importanti, ma appartiene a un’altra epoca.
Non è tutto rose e fiori, anche il calcio inglese ha le sue pagine oscure.
È vero, ma noi, quando possiamo, interveniamo. È accaduto, ad esempio, con tre elementi del Manchester United, Greenwood, Sancho e Anthony, protagonisti di casi diversi e in alcune situazioni, delicati (ci sono state anche accuse di molestie e violenza domestica). Li abbiamo richiamati alle loro responsabilità. Fare sindacato non significa dire ai calciatori che sono sempre bravi e buoni. Non vanno “infantilizzati”. L’inghilterra ha affrontato in modo serio la questione razzismo, ma negli ultimi anni c’è stata una recrudescenza di episodi.
Il problema si è spostato dallo stadio ai social. Il taking the knee, l’inginocchiamento prima delle partite, è stato un momento di ulteriore crescita per l’ambiente, ma ha prodotto anche reazioni negative. Per fronteggiare la deriva social siamo riusciti a far passare una legge: online safety bill. Dà la possibilità, a chi viene insultato, di sporgere immediata denuncia.
Il tetto salariale?
È una mossa populista e non lo dico perché rappresento il sindacato. Se applichi questa regola in un paese, i giocatori fanno le valigie e si dirigono verso campionati dove li ricoprono di soldi.
In Inghilterra i calciatori hanno preso posizione contro la Superlega.
Ricordo le parole di James Milner, all’epoca al Liverpool: non giocheremo mai nella Superlega. Il concetto della meritocrazia e l’importanza dei club minori sono ben radicati nella mentalità del calciatore della Premier. Pensare solo ai ricchi significa distruggere il football dei più poveri.
Negli ultimi mesi è stato avviato il discorso della sostenibilità ambientale, discusso anche in un recente forum allo stadio dell’arsenal.
Il dibattito è iniziato con i numeri dei viaggi aerei che sono aumentati con l’incremento delle partite. Stiamo partendo dal basso, sviluppando per esempio la pratica del car sharing. Invitiamo i giocatori che abitano vicini a usare un’auto in comune per recarsi all’allenamento. Abbiamo chiesto di fare attenzione all’uso delle maglie per diminuire i cicli dei lavaggi. Vogliamo ridurre il numero della plastica usando una borraccia personalizzata al posto delle bottiglie usa e getta. Tempo fa, ho visto un giocatore del Fulham in bicicletta con la sacca sportiva. Dalle piccole cose nascono grandi cose.