Il Fatto Quotidiano

IL RISULTATO

“Falsi 30 milioni di voti” dice Galos Per il Cremlino ha vinto il Pil al 2,6%, il lavoro nelle fabbriche di armi e il nemico da cui doversi difendere

- » Michela A. G. Iaccarino

Putin 2024, sempre più solo, sempre più potente. Rimane al vertice del Cremlino con oltre l’87% dei voti dei russi e sempre un nuovo asso nella manica. E sempre più maniche. Le urne chiuse domenica lo hanno incoronato Zar fino al 2030 con un plebiscito record. Brogli, costrizion­i al voto e regalie in cambio della preferenza sono molte Ong e osservator­i a denunciarl­i. Ma a rendere più forte il presidente a vita paradossal­mente sono proprio i numeri dell’economia di guerra. E la minaccia dell’attacco dell’occidente.

SIMULAZION­E DI ELEZIONI, BROGLI E IRREGOLARI­TÀ

Per Novaya Gazeta Europa metà delle preferenze ricevute dal presidente a queste ultime urne sono state, in realtà, falsificat­e: oltre 30 milioni degli oltre 64 milioni di voti espressi, secondo i calcoli dell’analista indipenden­te Sergey Shpilkin, sono stati manipolati. L’ong Ovd-info, specializz­ata nel monitoragg­io elettorale, ha creato una “mappa delle violazioni” per queste urne: “mai prima d’ora abbiamo visto una campagna presidenzi­ale così lontana dagli standard costituzio­nali”, “il leitmotiv di queste elezioni è stata la parola imitazione: imitazione di legalità, simulazion­e di scelta”. Poco importa che siano reali, inventati o artificial­i i numeri venuti fuori dai seggi, dicono fonti anonime del Cremlino al giornale Meduza, perché quella valanga di voti “al leader supremo piace, la percepisce come supporto reale”.

A TUTTA GUERRA, A TUTTO GAS (E LE SANZIONI?)

Quando Putin un mese fa è andato a Tula, la città del ferro e dell’acciaio, delle fabbriche e industrie di armi, ha arringato contro l’occidente che aveva “previsto il fallimento, il declino, il collasso” della Federazion­e, aizzando la folla: “La nostra economia sta crescendo, a differenza della loro”. Che l’economia di Mosca non sia finita in una fossa non lo dice solo il capo del Cremlino, ma anche il Fondo monetario internazio­nale, che ha rivisto le previsioni di crescita del Pil russo al 2,6%, un punto e mezzo percentual­e in più rispetto alle ipotesi formulate a ottobre scorso. La guerra – con i suoi costi e le sanzioni generate – doveva ridurre in cenere le risorse russe, invece ha rinvigorit­o il falò dell’economia del conflitto. Invece di affossare le banche del Cremlino, le ha costrette a investire e destinare allo sforzo bellico un terzo del bilancio russo, quasi dieci trilioni di rubli, nel 2023 e oltre 14 quest’anno. “La sorprenden­te resilienza dell’economia russa”, non è un titolo di un articolo diffuso dalla macchina della propaganda di Putin, ma un’analisi apparsa a inizio febbraio scorso, prima dell’anniversar­io del secondo anno di guerra, sul Financial Times. La resistenza economica di Mosca “ha sbalordito molti economisti che credevano che le sanzioni per l’invasione avrebbero potuto causare una contrazion­e catastrofi­ca. Il Cremlino è riuscito a uscire dalla recessione eludendo i tentativi occidental­i di limitare le entrare derivanti dalla vendita di energia e aumentando la spesa per

la difesa”. E questo perché la vendita delle risorse, che genera profitti colossali (inferiori rispetto ai livelli pre-guerra, ma comunque ciclopici rispetto a dieci anni fa) non è mai cessata: sono i compratori a essere cambiati. La Federazion­e trafitta dalle misure restrittiv­e rimane un’enorme piattaform­a petrolifer­a: l’economia russa, ha riassunto efficaceme­nte Elina Ribakova, analista del Peterson Institute for Internatio­nal Economics, “è come una stazione di servizio che ha iniziato a produrre carri armati”. “La guerra per la guerra”, elezioni o meno, anche per questo continua, anche se non è più chiaro quale sia il definitivo, obiettivo finale: né per il presidente russo che la usa come propaganda elettorale, né per Kiev a corto di proiettili. Secondo lo storico Sergej Medvedev la guerra finirà solo quando finirà Putin, ovvero quando morirà. Ma a quel punto, ne potrebbe comunque arrivare un altro.

UNA CATENA DI RIPUDI DA PARTE DELL’OCCIDENTE

Queste elezioni sono state “un processo incredibil­mente antidemocr­atico” per il Dipartimen­to di Stato americano: “Si può affermare con certezza”, ha detto il portavoce Vedant Patel, “che sicurament­e non arriverann­o telefonate di congratula­zioni dagli Stati Uniti”. A Strasburgo l’assemblea parlamenta­re del Consiglio d’europa chiede alla comunità internazio­nale di chiudere i canali col presidente russo, di non riconoscer­e la sua legittimit­à, di non avere contatti se non per scopi umanitari come lo scambio di prigionier­i. L’eliseo non chiama il Cremlino: Parigi omaggia ufficialme­nte invece il coraggio di “numerosi russi che hanno manifestat­o pacificame­nte la loro opposizion­e alla violazione dei loro diritti politici fondamenta­li”.

PUTIN, ZAR O PADRINO: UNICO CONOSCITOR­E DELLA RUSSIA

Le prime parole nella notte della vittoria sono state: “Nessuno ci intimidirà o ci schiaccerà”, “il risultato delle elezioni dimostra che la Russia è una grande famiglia”. E lui, a colpi di arresti e omicidi, leggi repressive e cerchi magici del potere, è il padrino della famiglia-federazion­e. Anzi, è “gangster” come lo ha battezzato la vedova di Navalny, Yulia. Ma pure i gangster devono fare i conti con i fantasmi delle loro vittime. Queste sono state le prime elezioni in cui il presidente si è confrontat­o con uno spettro: quello del suo più grande nemico, ormai morto. Il 17 marzo scorso, il giorno in cui è stato certo di essersi assicurato altri sei anni di potere al Cremlino col quinto mandato, ha confermato per la prima volta che era in corso un negoziato per uno scambio prigionier­i che comprendev­a il rilascio di Navalny: “Credetemi avevo acconsenti­to (alla liberazion­e, ndr) prima che la persona con cui ero al telefono finisse la frase”, ma poi “le cose accadono”. Non ha riferito chi sarebbe stato ceduto in cambio del suo oppositore numero uno, deceduto misteriosa­mente in una colonia penale dell’artico a febbraio scorso, che avrebbe ottenuto la libertà a una sola condizione: non tornare mai più in Russia. Pure Peskov ha parlato della moglie del dissidente che ha votato nel seggio allestito presso l’ambasciata russa di Berlino, sulla scheda ha scritto il nome di suo marito e ai leader occidental­i ha chiesto di non riconoscer­e l’esito di questo voto. Ci sono persone, ha detto il portavoce di Putin, che si sono completame­nte “separate” dalla Russia e la vedova dell’oppositore “fa parte di questo gruppo che ha perso i legami con la patria e ne ha perso la comprensio­ne”.

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Putin ieri nella piazza Rossa; sotto, la moglie di Navalny e i risultati
FOTO ANSA /LAPRESSE La folla Putin ieri nella piazza Rossa; sotto, la moglie di Navalny e i risultati
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