IL RISULTATO
“Falsi 30 milioni di voti” dice Galos Per il Cremlino ha vinto il Pil al 2,6%, il lavoro nelle fabbriche di armi e il nemico da cui doversi difendere
Putin 2024, sempre più solo, sempre più potente. Rimane al vertice del Cremlino con oltre l’87% dei voti dei russi e sempre un nuovo asso nella manica. E sempre più maniche. Le urne chiuse domenica lo hanno incoronato Zar fino al 2030 con un plebiscito record. Brogli, costrizioni al voto e regalie in cambio della preferenza sono molte Ong e osservatori a denunciarli. Ma a rendere più forte il presidente a vita paradossalmente sono proprio i numeri dell’economia di guerra. E la minaccia dell’attacco dell’occidente.
SIMULAZIONE DI ELEZIONI, BROGLI E IRREGOLARITÀ
Per Novaya Gazeta Europa metà delle preferenze ricevute dal presidente a queste ultime urne sono state, in realtà, falsificate: oltre 30 milioni degli oltre 64 milioni di voti espressi, secondo i calcoli dell’analista indipendente Sergey Shpilkin, sono stati manipolati. L’ong Ovd-info, specializzata nel monitoraggio elettorale, ha creato una “mappa delle violazioni” per queste urne: “mai prima d’ora abbiamo visto una campagna presidenziale così lontana dagli standard costituzionali”, “il leitmotiv di queste elezioni è stata la parola imitazione: imitazione di legalità, simulazione di scelta”. Poco importa che siano reali, inventati o artificiali i numeri venuti fuori dai seggi, dicono fonti anonime del Cremlino al giornale Meduza, perché quella valanga di voti “al leader supremo piace, la percepisce come supporto reale”.
A TUTTA GUERRA, A TUTTO GAS (E LE SANZIONI?)
Quando Putin un mese fa è andato a Tula, la città del ferro e dell’acciaio, delle fabbriche e industrie di armi, ha arringato contro l’occidente che aveva “previsto il fallimento, il declino, il collasso” della Federazione, aizzando la folla: “La nostra economia sta crescendo, a differenza della loro”. Che l’economia di Mosca non sia finita in una fossa non lo dice solo il capo del Cremlino, ma anche il Fondo monetario internazionale, che ha rivisto le previsioni di crescita del Pil russo al 2,6%, un punto e mezzo percentuale in più rispetto alle ipotesi formulate a ottobre scorso. La guerra – con i suoi costi e le sanzioni generate – doveva ridurre in cenere le risorse russe, invece ha rinvigorito il falò dell’economia del conflitto. Invece di affossare le banche del Cremlino, le ha costrette a investire e destinare allo sforzo bellico un terzo del bilancio russo, quasi dieci trilioni di rubli, nel 2023 e oltre 14 quest’anno. “La sorprendente resilienza dell’economia russa”, non è un titolo di un articolo diffuso dalla macchina della propaganda di Putin, ma un’analisi apparsa a inizio febbraio scorso, prima dell’anniversario del secondo anno di guerra, sul Financial Times. La resistenza economica di Mosca “ha sbalordito molti economisti che credevano che le sanzioni per l’invasione avrebbero potuto causare una contrazione catastrofica. Il Cremlino è riuscito a uscire dalla recessione eludendo i tentativi occidentali di limitare le entrare derivanti dalla vendita di energia e aumentando la spesa per
la difesa”. E questo perché la vendita delle risorse, che genera profitti colossali (inferiori rispetto ai livelli pre-guerra, ma comunque ciclopici rispetto a dieci anni fa) non è mai cessata: sono i compratori a essere cambiati. La Federazione trafitta dalle misure restrittive rimane un’enorme piattaforma petrolifera: l’economia russa, ha riassunto efficacemente Elina Ribakova, analista del Peterson Institute for International Economics, “è come una stazione di servizio che ha iniziato a produrre carri armati”. “La guerra per la guerra”, elezioni o meno, anche per questo continua, anche se non è più chiaro quale sia il definitivo, obiettivo finale: né per il presidente russo che la usa come propaganda elettorale, né per Kiev a corto di proiettili. Secondo lo storico Sergej Medvedev la guerra finirà solo quando finirà Putin, ovvero quando morirà. Ma a quel punto, ne potrebbe comunque arrivare un altro.
UNA CATENA DI RIPUDI DA PARTE DELL’OCCIDENTE
Queste elezioni sono state “un processo incredibilmente antidemocratico” per il Dipartimento di Stato americano: “Si può affermare con certezza”, ha detto il portavoce Vedant Patel, “che sicuramente non arriveranno telefonate di congratulazioni dagli Stati Uniti”. A Strasburgo l’assemblea parlamentare del Consiglio d’europa chiede alla comunità internazionale di chiudere i canali col presidente russo, di non riconoscere la sua legittimità, di non avere contatti se non per scopi umanitari come lo scambio di prigionieri. L’eliseo non chiama il Cremlino: Parigi omaggia ufficialmente invece il coraggio di “numerosi russi che hanno manifestato pacificamente la loro opposizione alla violazione dei loro diritti politici fondamentali”.
PUTIN, ZAR O PADRINO: UNICO CONOSCITORE DELLA RUSSIA
Le prime parole nella notte della vittoria sono state: “Nessuno ci intimidirà o ci schiaccerà”, “il risultato delle elezioni dimostra che la Russia è una grande famiglia”. E lui, a colpi di arresti e omicidi, leggi repressive e cerchi magici del potere, è il padrino della famiglia-federazione. Anzi, è “gangster” come lo ha battezzato la vedova di Navalny, Yulia. Ma pure i gangster devono fare i conti con i fantasmi delle loro vittime. Queste sono state le prime elezioni in cui il presidente si è confrontato con uno spettro: quello del suo più grande nemico, ormai morto. Il 17 marzo scorso, il giorno in cui è stato certo di essersi assicurato altri sei anni di potere al Cremlino col quinto mandato, ha confermato per la prima volta che era in corso un negoziato per uno scambio prigionieri che comprendeva il rilascio di Navalny: “Credetemi avevo acconsentito (alla liberazione, ndr) prima che la persona con cui ero al telefono finisse la frase”, ma poi “le cose accadono”. Non ha riferito chi sarebbe stato ceduto in cambio del suo oppositore numero uno, deceduto misteriosamente in una colonia penale dell’artico a febbraio scorso, che avrebbe ottenuto la libertà a una sola condizione: non tornare mai più in Russia. Pure Peskov ha parlato della moglie del dissidente che ha votato nel seggio allestito presso l’ambasciata russa di Berlino, sulla scheda ha scritto il nome di suo marito e ai leader occidentali ha chiesto di non riconoscere l’esito di questo voto. Ci sono persone, ha detto il portavoce di Putin, che si sono completamente “separate” dalla Russia e la vedova dell’oppositore “fa parte di questo gruppo che ha perso i legami con la patria e ne ha perso la comprensione”.