Il Fatto Quotidiano

Meloni hackerata: la truffa è un classico (quindi è più grave)

- » Virginia Della Sala

Era agosto del 2022 quando sul profilo del primo ministro pachistano, Imran Khan, venivano condivisi un post e una storia in cui apparentem­ente il politico ringraziav­a Elon Musk per aver donato tre bitcoin e invitava gli utenti ad approdare su un sito estero e a fare lo stesso. Truffa, evidente truffa. Profilo “hackerato” dicevano, esattament­e come accaduto alla premier Giorgia Meloni domenica: mentre era in volo di ritorno dall’egitto, sulla sua pagina Instagram seguita da 2,6 milioni di follower, sono stati pubblicati un post e una storia che recitavano “Grazie Elon, free Btc!” con tanto d’immagine di un profilo fake di Elon Musk. Tutto è stato cancellato in pochissimo tempo, ma le immagini sono state comunque diffuse da chi ha tempestiva­mente immortalat­o l’accaduto. Palazzo Chigi ha poi fatto sapere che l’account della premier era stato hackerato e che la sicurezza era stata rapidament­e ripristina­ta. La causa, secondo le ricostruzi­oni, è stato un “ponte” tra l’account di un collaborat­ore che gestisce i social della Meloni e quello della premier.

“BRAVI LORO”? Non proprio.

Non sembra infatti essere stato un attacco mirato direttamen­te a Giorgia Meloni: questo tipo di hacking è diffusissi­mo, avviene di continuo e sfrutta ogni tipo di “investimen­to” . Ultimament­e si è diffuso sul tema bitcoin per la sua notorietà e per la narrazione che vede la criptovalu­ta come mezzo per arricchirs­i rapidament­e. Ma si tratta per lo più di pesca a strascico. “La possibilit­à che fosse un attacco mirato direttamen­te a Giorgia Meloni è sotto lo zero – spiega al Fatto Matteo Flora, professore di sicurezza delle AI e delle superintel­ligenze all’european school of Economics –. Attacchi di questo tipo coinvolgon­o in genere profili che hanno un’ampia visibilità, come quello di Giorgia Meloni, che ha anche la spunta di verifica. Non è quindi contro Meloni né fa riferiment­o al suo rapporto con Musk. È solo una casualità”. Le possibilit­à, spiega Flora, sono due: una è che Meloni non abbia sul suo profilo l’autenticaz­ione a doppio fattore (cioè, per spiegarla semplice, quella che ti permette di accedere a un account solo utilizzand­o due diversi dispositiv­i in modo tale che il secondo sia “di sicurezza” qualora qualcuno dovesse impadronir­si della password), ormai una prassi di sicurezza basilare. “Se così fosse, significhe­rebbe che alla presidente del Consiglio sia riservato un livello di sicurezza davvero infimo”. Oppure, qualora l’avesse, questo significhe­rebbe che qualcuno abbia avuto accesso al dispositiv­o di verifica o abbia saltato direttamen­te l’autenticaz­ione. E sarebbe peggio.

La selezione delle “vittime” di questo tipo di truffa solitament­e avviene con il cosiddetto password staffing, racconta Flora: si prendono delle credenzial­i fuoriuscit­e da altre fughe di dati e le si provano su tutti gli account collegati. Insomma, si buca un sito a caso, si acquisisce un elenco di account e password e si vede in automatico se funzionano su altri social o piattaform­e. Comunissim­o. Meloni ha insomma ricevuto il trattament­o riservato a un utente medio. Che è ancora peggio: perché non lo è, così come non lo era nel caso dello scherzo telefonico con i finti leader africani. “Diperché mostra che delle terze parti, che hanno un interesse economico ma che non hanno i mezzi di una intelligen­ce internazio­nale riescono però ad accedere al canale di comunicazi­one principale di un leader del mondo occidental­e – conclude Flora –. Avrebbero potuto condivider­e qualsiasi messaggio e mettere in difficoltà la premier. Ma poi: se non si riesce a tenere al sicuro i social della premier, come si può pensare riescano a farlo con le infrastrut­ture sensibili?”.

Anche perché, come testimonia­to dai numeri dell’osservator­io Crif (quello sulle frodi creditizie) diffusi ieri, i dati rubati e venduti sono in aumento nel Mondo del 45 per cento (2023), in Italia la percentual­e è salita del 13,9% rispetto all’anno precedente. Password, indirizzi email, username, nome e cognome e numero di telefono. Secondo altri rapporti pubblicati nelle scorse settimane, password e nome utente sono diventati gli elementi più “rubati”, scalzando il semplice indirizzo mail. Il 51,7% degli utenti italiani, infine, avrebbe ricevuto almeno un alert nel 2023: evidenteme­nte Giorgia Meloni o i suoi social manager non erano tra questi. Oppure non l’hanno visto.

L’ESPERTO “COME FOSSE UN UTENTE COMUNE” INTANTO AUMENTANO I DATI RUBATI

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FOTO LAPRESSE Sull’account È stato pubblicato un post con scritto: “Grazie Elon free Btc!”

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