LA SVOLTA REAZIONARIA DI RICKY GERVAIS, CHE FA IL FURBO NEL SUO SHOW
La svolta reazionaria di Ricky Gervais, uno dei cabarettisti più noti al mondo, è simile a quella di Dave Chappelle, e altrettanto dolorosa per i fan della prima ora, specie dopo l’ultimo show, Armageddon (Netflix), in cui sfodera argomenti di destra sia per fare battute che per giustificarle. La cosa ci riguarda perché anche da noi i comici di destra dilagano usando gli stessi sofismi, con la complicità dei giornalisti di destra che li strumentalizzano per portare avanti la propria agenda codina. Diamo dunque un’occhiata al retrivo, irresponsabile Armageddon. L’inizio è tutto un programma: il paraculo Gervais prende le distanze da ciò che dirà.
GERVAIS: “Non puoi scegliere i tuoi pensieri. Appaiono ed è troppo tardi. Hai un pensiero e fa: ‘Sono un pensiero’. E tu dici: ‘Oh, cazzo, l’ho pensato’. E poi, a volte, il pensiero fa: ‘Adesso dillo’. E io lo dico, e... Netflix. (Risate) Il mio ultimo monologo, Supernature, è uscito su Netflix l’anno scorso. Un sacco di reazioni negative. Gente che diceva: “Non puoi dire certe cose!”. Puoi, puoi. (Risate). Io l’ho fatto (Risate)”.
Ma così giustifichi tutte le gag, anche quelle razziste; e dimentichi che, più ampia è la tua platea, maggiore è la tua responsabilità sociale. Seconda paraculata: atteggiarsi a vittima di censura. Ma nessuno gli impedisce di fare uno show su Netflix, visto in tutto il mondo, guadagnando milioni.
GERVAIS: “Già, l'inevitabile contraccolpo. Che lo ha reso lo special più visto dell'anno, quindi… (Risate) ho imparato la lezione (Risate). Per questo d'ora in poi sarò woke. Era ora. Mi dispiace, adesso sono woke. E la prima cosa che farò sarà cambiare la mia biografia su Twitter. Perché al momento è una lista degli show che ho fatto. Ma ora che sono woke, devo aggiungere la parola ‘antifascista’”.
In Usa/uk, chi è consapevole dei dispositivi sociali che creano e promuovono disuguaglianze è detto “woke”. Sfottere i “woke” è un luogo comune dei cabarettisti reazionari (vedi Chappelle e Cleese); è un loro marchio. Invocano la libertà di espressione: ma il problema è quello che dicono. Se fai la testa di cazzo, ho tutto il diritto di criticarti. Perché devi sfottere chi si dichiara antifascista?
GERVAIS:
“Così la gente saprà che non sono fascista. Perché questo è un grosso problema in questo momento. La gente viene da te e dice: ‘Rick, hai imprigionato giornalisti?’ ‘No’. ‘Oh, interessante. (Risate) Hai gassato gli ebrei?’ ‘No’. ‘E allora mettilo nella tua bio, stronzo’ (Risate). È strano dichiarare di non essere fascista. Lo diamo per scontato, no? Non andresti da qualcuno per strada a fare una cosa del genere. ‘Oh, comunque, non sono fascista’ (Risate). È come se protestassero troppo”.
Questa è una forzatura: nessuno ti obbliga a scrivere “antifascista” nella tua bio su X. Lo si dichiara con orgoglio, come con orgoglio si porta la kefiah. E non è affatto strano farlo.
GERVAIS:
“È come entrare in una scuola e dire: ‘Non sono un pedofilo. Questi bambini corrono al sicuro intorno a me. Non preoccuparti (Risate). Per quanto mi riguarda, possono correre in giro nudi’” (Risate).
Altra forzatura: dichiararsi antifascisti non è affatto uguale all’excusatio non petita di un pedofilo.