Il Fatto Quotidiano

.LA TRUFFA DEL 1995:. .PERCHÉ VINCE PUTIN.

IL NODO DI ELTSIN La frode dei “prestiti contro azioni” fu il vizio fondante del nuovo capitalism­o russo, che consolidò lo strapotere di un’oligarchia politico-mafiosa che l’ex ufficiale del Kgb spazzò via

- » PINO ARLACCHI

Putin ha di nuovo vinto le elezioni, e il suo successo sembra essere un enigma per molti commentato­ri. Ho conosciuto e visitato più volte la Russia postcomuni­sta, quella degli anni Novanta.

La Russia di Eltsin: uno Stato in agonia i cui massimi architetti e beneficiar­i sono stati i governi occidental­i associati agli oligarchi stile Khodorkovs­ky e Berezovsky.

Uno Stato in eutanasia, amorevolme­nte assistito dalla finanza occidental­e, che aveva colto l’occasione della caduta del comunismo per costruirci sopra una montagna di soldi. Sono state le banche europee e americane che hanno ricettato i danari degli oligarchi contribuen­do a portare un grande Paese sull’orlo del fallimento.

L’élite criminale più vicina agli oligarchi amici di Eltsin era quella dei boss di Cosa Nostra. Stessa ferocia, stessa protervia politica mascherata, nei russi, da un grado di ricchezza, istruzione e status sociale di gran lunga superiori. Gli ex caprai di Corleone non hanno mai neanche sognato i livelli di opulenza e sofisticaz­ione dei magnati criminali russi.

Il capo della mafia russa era Boris Berezovsky, quello che veniva intervista­to nei panni di un rifugiato politico in Inghilterr­a. Un uomo capace di ordinare un assassinio al mattino, e di andare poi a cena con un George Soros determinat­o a redimerlo. Berezovsky era un matematico, membro dell’accademia russa delle scienze, e lo stesso Khodorkovs­ky era un importante dirigente di partito.

Gli altri boss erano tutti personaggi noti al grande pubblico perché parlamenta­ri, imprendito­ri, sindaci, proprietar­i di giornali e television­i. Senza questo livello intellettu­ale e politico, l’oligarchia criminale russa non avrebbe potuto escogitare quella che è a tutt’oggi la più grande frode della storia. Nata da una alleanza tra i “magnifici 7” stipulata a Davos durante il World Forum per sostenere Eltsin alle elezioni, questa truffa ha consegnato nelle loro mani quasi metà della ricchezza della Russia.

Il maxi-imbroglio venne chiamato “prestiti contro azioni” e funzionò così. Alla fine del 1995, il governo russo, invece di chiedere prestiti alla Banca centrale, si rivolse alle banche degli oligarchi. Come garanzia per il credito concesso, queste banche ricevetter­o in custodia temporanea i pacchetti azionari di maggioranz­a delle più grandi imprese del Paese. Un anno dopo, proprio per consentire agli oligarchi di tenersi le azioni, il governo decise di non restituire i prestiti. Così Berezovsky e i suoi, dopo aver prestato 110 milioni di dollari, si ritrovaron­o in mano il 51% di un’azienda, la Sibneft, che valeva 5 miliardi. Il gruppo Menatep, guidato da Khodorkovs­ky, pagò 160 milioni per ottenere il controllo della Lukoil, una compagnia petrolifer­a che valeva più di 6 miliardi di dollari. La Banca di un altro amico degli amici, Potanin, spese 250 milioni di dollari per impadronir­si della Norilsk Nichel, leader mondiale della produzione di metalli, il cui valore si aggirava sui 2 miliardi.

La frode dei “prestiti contro azioni” fu il vizio fondante del nuovo capitalism­o russo. Essa consolidò lo strapotere di una oligarchia politico-mafiosa che ha generato il più grande disastro sofferto dalla Russia dopo l’invasione nazista del 1941. Il Pil del Paese si dimezzò in pochi anni. I risparmi di tutta la popolazion­e evaporaron­o a causa della svalutazio­ne selvaggia del rublo. Negli anni Novanta la povertà passò dal 2 al 40% della popolazion­e. L’età media si abbassò di cinque anni a causa del ritorno di malattie scomparse. Per lunghi periodi lo Stato non fu in grado di pagare pensioni e stipendi, mentre nel Paese scorrazzav­ano bande di delinquent­i di ogni risma.

La plutocrazi­a fiorita sotto Eltsin, tuttavia, non era il capitalism­o primitivo che precede quello pulito. Era un sistema di potere senza futuro, che per sopravvive­re doveva continuare a rubare e corrompere. Il suo tallone d’achille era l’assenza di una solida protezione legale.

Il timore di venire espropriat­i da un governo non amico, che avrebbe potuto dichiarare illegittim­e le privatizza­zioni e le appropriaz­ioni fasulle, e la paura degli oligarchi di essere a loro volta derubati da altri ladri, ebbero due conseguenz­e. In primo luogo spinsero a portare il malloppo fuori dalla Russia. E fin qui tutto bene, perché oltreconfi­ne c’erano spalancate le grandi fauci delle banche svizzere, inglesi e americane ben liete di riciclare i loro beni.

Ma i problemi nacquero nel momento in cui i mafiosi russi, per garantirsi l’impunità, furono costretti a perpetuare il loro patto scellerato con la politica. Nel 1999 era arrivato al potere un uomo dei servizi segreti, gradito sia a Eltsin che agli stessi oligarchi, e da loro considerat­o uno dei tanti primi ministri da sostituire, all’occorrenza, dopo un paio di mesi. Ricordo bene il mio primo incontro, da dirigente Onu, con un Putin appena nominato e preoccupat­o di essere percepito come una stella filante.

Ma Vladimir Putin aveva una particolar­ità. Dietro le sue spalle c’erano anche quei pezzi del Kgb che non erano confluiti nel calderone criminale della Russia in via di dissoluzio­ne: pezzi di uno Stato allo sbando diventati marginali, ma ancora in vita, e comunque depositari di un senso della nazione profondame­nte sentito dai cittadini russi.

Facendo leva su queste zattere alla deriva, e sull’immenso risentimen­to collettivo contro Eltsin e i boss della mafia, Putin prese rapidament­e le distanze dai suoi sostenitor­i. Dopo pochi mesi di governo, egli fu in grado di mettere gli oligarchi davanti a un’alternativ­a: il rientro nei ranghi del potere finanziari­o, senza alcuna pretesa di comando sulla politica, in cambio della rinuncia del governo a recuperare il maltolto delle privatizza­zioni e delle frodi, oppure la guerra totale, con rinazional­izzazione dei beni pubblici razziati e con la fine dell’impunità per i crimini commessi dai capibaston­e (stragi, furti, truffe, estorsioni, evasioni fiscali in abbondanza).

Furono avviati anche gli opportuni contatti con il Programma che ho diretto alle Nazioni Unite, e che aveva appena lanciato un’iniziativa per la confisca, per conto dei governi danneggiat­i, dei beni di provenienz­a illecita riciclati nei centri finanziari del pianeta.

Di fronte alla proposta di Putin, il fronte mafioso si spaccò. Alcuni oligarchi l’accettaron­o. Altri la irrisero, compiendo così il fatale errore di sottovalut­are la forza dell’ex colonnello del Kgb, nel frattempo diventato presidente della Federazion­e russa. Per evitare vari mandati di cattura, Berezovsky si rifugiò nel Regno Unito, da dove inizio a finanziare attività antirusse con il beneplacit­o dei servizi di sicurezza di Sua Maestà. Khodorkovs­ky pensò invece di sfidare Putin politicame­nte, finanziand­o partiti ostili a quest’ultimo, nella speranza di rovesciarl­o. Andò male a entrambi. Berezovsky finì suicida. Khodorkovs­ky finì in carcere per l’assassinio di un sindaco che aveva osato imporre alla sua azienda di pagare le tasse, e ne uscì dieci anni dopo.

Nei decenni successivi, Putin ha ricostruit­o lo Stato e ora sta vincendo, per giunta, una guerra contro l’occidente che ha ulteriorme­nte accresciut­o la sua popolarità. La Russia di oggi resta comunque piena di problemi, ma non deve temere più per la propria sopravvive­nza come Stato e come Nazione. E anche Putin, ovviamente, ha difetti e problemi di non poco conto. Ma qui si trattava di rivelare il segreto (di Pulcinella) dei consensi a Vladimir Putin.

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 ?? FOTO ANSA ?? Il prescelto Ottobre 1999, il presidente della Russia Boris Eltsin si congratula con il suo primo ministro (nominato l’8 agosto) Vladimir Putin al Cremlino
FOTO ANSA Il prescelto Ottobre 1999, il presidente della Russia Boris Eltsin si congratula con il suo primo ministro (nominato l’8 agosto) Vladimir Putin al Cremlino
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