I 100mila di Libera cingono il sindaco: “È un galantuomo”
“Antonio Decaro è un galantuomo” che “ha lottato contro le mafie”. È un’investitura formale, diretta e senza possibilità di equivoci quella che don Luigi Ciotti formula nei confronti del sindaco di Bari. Proprio lui, Decaro, da 9 anni sotto scorta per le minacce che gli arrivano dai clan, oggi a capo di un’amministrazione sospesa tra l’inchiesta per voto di scambio politico mafioso – una consigliera arrestata e la società dei trasporti commissariata – e, soprattutto, la scelta del Viminale di inviare una commissione d’accesso per verificare le infiltrazioni nel Comune e, eventualmente, decidere se sciogliere il consiglio comunale (a tre mesi dalle elezioni). L’occasione è solenne: il palco di Libera del 21 Marzo, davanti a un pubblico di “quasi 100 mila” (40 mila per la Questura), soprattutto giovani, giunti ieri a Roma da tutta Italia in occasione della tradizionale giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Don Ciotti non ha dubbi: “Siamo indignati dalle modalità e dalle speculazioni. Tocca a noi difendere gli onesti”, dice all’indirizzo di Decaro, seduto in prima fila al fianco del collega capitolino, Roberto Gualtieri.
Stupiscono modalità e speculazioni Tocca a noi difendere gli onesti don Luigi Ciotti
QUELLO del sacerdote fondatore dell’associazione è un intervento lungo, ma denso di attualità. E di messaggi al governo Meloni. Si va dalle preoccupazioni per “i cambiamenti normativi che favoriscono la corruzione”, alle critiche nemmeno tanto velate al decreto Caivano nella parte in cui abbassa l’età della punibilità per i minorenni: “Non è questo il sistema”, dice citando San Giovanni Bosco. Non solo. “Alcuni provvedimenti ci pongono domande, interrogativi. Bisogna evitare di demolire dei pilastri, dei meccanismi che in questi anni hanno dimostrato di essere efficaci nel contrasto alla criminalità, alla corruzione, all’illegalità. Vedo che alcuni provvedimenti viaggiano un pochettino nella direzione opposta”, afferma Ciotti tra gli applausi. Un pensiero altrettanto severo, sebbene conciliante, per gli studenti di Partinico, che hanno bocciato l’intitolazione del loro liceo a Peppino Impastato, uno dei più illustri tra i 1.081 nomi scanditi ieri dai microfoni del corteo partito da Santa Maria in Maggiore. “Mi auguro che tutti diventiamo più divisivi, nel senso di distinguere il bene dal male. Ripensateci, incontriamoci, ascoltate il fratello di Peppino Impastato, Giovanni e scoprirete chi era veramente Peppino”.
E il governo? Assente, come tutto il centrodestra. L’unica a sfidare il tabù Liberaè stata Chiara Colosimo, presidente della commissione parlamentare Antimafia, che sulla questione Bari si è limitata a ricordare i “136 accessi dal 2016” del Viminale nei comuni italiani. Pienone invece a sinistra. Il leader del M5S, Giuseppe Conte, la segretaria del Pd, Elly Schlein, i responsabili di Alleanza Verdi Sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. E poi tra gli altri i dem Andrea Orlando e Nicola Zingaretti, l’ex ministra Rosy Bindi (che da tempo collabora con Libera), il segretario della Cgil, Maurizio Landini – il sindacato, con i sindaci di Avviso Pubblico, era tra i co-organizzatori della manifestazione – Soprattutto, almeno 500 familiari delle vittime di mafia e migliaia di ragazzi.
C’erano i parenti di Giovanbattista Tedesco, carabiniere ucciso nel 1989 a Taranto dalla Sacra Corona Unita che cercava di infiltrarsi nelle acciaierie. O quelli di Pietro Sanua, l’ambulante ucciso a Corsico, vicino Milano. E quelli dei coniugi Prestia, uccisi nel 1986 a Platì (Reggio Calabria), delitto mai risolto. Infine i giovani. Nell’ultimo anno don Ciotti ha girato le scuole del Lazio e non solo. Tante le scolaresche che hanno ripagato i suoi sforzi, inondando le strade romane con bandiere, cartelli e messaggi contro la mafia. Tra loro gli studenti del liceo Teresa Gullace, la donna uccisa dai nazisti il 3 marzo 1944: il suo personaggio ispirò quello di Anna Magnani in Roma Città Aperta. Sono passati 80 anni. Il titolo di ieri era “Roma Città Libera”.