LA PREMIER E I 7 MILIARDI AD AL SISI: NON POTEVA PARLARGLI DI REGENI?
La presidente della Commissione europea – in visita al Cairo insieme alla premier Giorgia Meloni e ad altri quattro leader europei – ha firmato la dichiarazione congiunta con il presidente egiziano Al Sisi che pone le basi per un partenariato strategico tra la Ue e l’egitto concernente sei ambiti principali tra cui l’immigrazione. In particolare, in virtù di tale accordo, l’ue – che riconosce l’egitto come ” partner affidabile” – garantisce aiuti economici per i prossimi tre anni per complessivi 7,4 miliardi di euro in cambio anche dell’impegno dell’autocrate di rafforzare i controlli alle frontiere e ridurre i flussi migratori verso l’italia.
Un gruppo di europarlamentari ha accusato la Commissaria di finanziare un Paese che non garantisce i diritti umani, anche se nella congiunta dichiarazione finale si rinviene un (generico) “impegno per promuovere ulteriormente la democrazia, le libertà fondamentali e i diritti umani”, con verifiche “ogni due anni”. Era quindi questa l’occasione propizia per discutere del “caso di Giulio Regeni” essendo, come noto, il leader egiziano considerato il responsabile dei depistaggi a favore dei 4 agenti dei servizi di sicurezza, imputati in Italia in contumacia per l’omicidio del giovane. Incalzata dai cronisti se avesse parlato di Regeni con Al Sisi, la Meloni ha fornito la seguente inutile risposta: “L’italia pone tendenzialmente sempre questa questione dopodiché c’è un processo in Italia. Noi siamo andati avanti a fare quel che dobbiamo fare e il lavoro che stiamo facendo non cambia la nostra posizione sulla materia”.
Eppure, il problema si poneva in maniera categorica e improcrastinabile essendo in corso il processo (II udienza), iniziato dopo ben 8 anni solo a seguito dell’intervento della Corte costituzionale che ha riconosciuto la legittimità del procedimento in assenza, atteso che l’omicidio era avvenuto mediante torture. L’egitto, infatti, non fornendo il domicilio degli imputati e, dunque, impedendo la notifica agli stessi degli atti, aveva bloccato il dibattimento che si è potuto aprire soltanto per la decisione della Consulta.
Orbene, il pm ha chiesto l’audizione di tutti quei testi che, nel corso delle indagini preliminari, avevano fornito elementi utili per riscostruire l’efferato delitto, ma la maggior parte di essi sono o egiziani o si trovano ancora in Egitto, ed è probabile che le autorità egiziane – che da anni stanno coprendo i responsabili delle torture e dell’orribile omicidio del giovane – pongano in essere omissioni, ostacoli, intralci e possibili condizionamenti. Si imponeva, pertanto, fin da adesso, come ha affermato il pm, un “proficuo lavoro per il ministero degli Esteri per suscitare la collaborazione delle autorità egiziane, giacché solo la Polizia egiziana può notificare gli atti e dare via libera ai 27 testimoni che vivono in Egitto onde potersi presentare al processo ed essere ascoltati”. Quale migliore occasione allora – dopo aver portato al dittatore la notizia dei 7 miliardi di euro – per porre sul tavolo dell’accordo la questione dell’omicidio Regeni , esempio ripugnante di mancanza di democrazia e di negazione dei diritti, peraltro determinato a causa dell’impegno del giovane ricercatore proprio nell’attuazione dei diritti umani. E saggiare così la disponibilità dell’autocrate nel concorrere nell’impegno di “promuovere la democrazia e i diritti” fornendo in proposito la dovuta collaborazione all’autorità giudiziaria italiana e non ostacolando l’accertamento della verità e della giustizia come si addice a un paese che sia davvero democratico e rispettoso delle “libertà fondamentali e dei diritti”.
Così, stando le cose, forse qualche dubbio sovviene sull’affermazione della premier Meloni secondo la quale “la questione Regeni è in cima alla nostra agenda”.
IPOCRISIE MELONI DICE CHE IL CASO È “IN CIMA” ALLA SUA AGENDA: DALL’OPERATO NON SEMBRA