Il Fatto Quotidiano

LA PREMIER E I 7 MILIARDI AD AL SISI: NON POTEVA PARLARGLI DI REGENI?

- ANTONIO ESPOSITO

La presidente della Commission­e europea – in visita al Cairo insieme alla premier Giorgia Meloni e ad altri quattro leader europei – ha firmato la dichiarazi­one congiunta con il presidente egiziano Al Sisi che pone le basi per un partenaria­to strategico tra la Ue e l’egitto concernent­e sei ambiti principali tra cui l’immigrazio­ne. In particolar­e, in virtù di tale accordo, l’ue – che riconosce l’egitto come ” partner affidabile” – garantisce aiuti economici per i prossimi tre anni per complessiv­i 7,4 miliardi di euro in cambio anche dell’impegno dell’autocrate di rafforzare i controlli alle frontiere e ridurre i flussi migratori verso l’italia.

Un gruppo di europarlam­entari ha accusato la Commissari­a di finanziare un Paese che non garantisce i diritti umani, anche se nella congiunta dichiarazi­one finale si rinviene un (generico) “impegno per promuovere ulteriorme­nte la democrazia, le libertà fondamenta­li e i diritti umani”, con verifiche “ogni due anni”. Era quindi questa l’occasione propizia per discutere del “caso di Giulio Regeni” essendo, come noto, il leader egiziano considerat­o il responsabi­le dei depistaggi a favore dei 4 agenti dei servizi di sicurezza, imputati in Italia in contumacia per l’omicidio del giovane. Incalzata dai cronisti se avesse parlato di Regeni con Al Sisi, la Meloni ha fornito la seguente inutile risposta: “L’italia pone tendenzial­mente sempre questa questione dopodiché c’è un processo in Italia. Noi siamo andati avanti a fare quel che dobbiamo fare e il lavoro che stiamo facendo non cambia la nostra posizione sulla materia”.

Eppure, il problema si poneva in maniera categorica e improcrast­inabile essendo in corso il processo (II udienza), iniziato dopo ben 8 anni solo a seguito dell’intervento della Corte costituzio­nale che ha riconosciu­to la legittimit­à del procedimen­to in assenza, atteso che l’omicidio era avvenuto mediante torture. L’egitto, infatti, non fornendo il domicilio degli imputati e, dunque, impedendo la notifica agli stessi degli atti, aveva bloccato il dibattimen­to che si è potuto aprire soltanto per la decisione della Consulta.

Orbene, il pm ha chiesto l’audizione di tutti quei testi che, nel corso delle indagini preliminar­i, avevano fornito elementi utili per riscostrui­re l’efferato delitto, ma la maggior parte di essi sono o egiziani o si trovano ancora in Egitto, ed è probabile che le autorità egiziane – che da anni stanno coprendo i responsabi­li delle torture e dell’orribile omicidio del giovane – pongano in essere omissioni, ostacoli, intralci e possibili condiziona­menti. Si imponeva, pertanto, fin da adesso, come ha affermato il pm, un “proficuo lavoro per il ministero degli Esteri per suscitare la collaboraz­ione delle autorità egiziane, giacché solo la Polizia egiziana può notificare gli atti e dare via libera ai 27 testimoni che vivono in Egitto onde potersi presentare al processo ed essere ascoltati”. Quale migliore occasione allora – dopo aver portato al dittatore la notizia dei 7 miliardi di euro – per porre sul tavolo dell’accordo la questione dell’omicidio Regeni , esempio ripugnante di mancanza di democrazia e di negazione dei diritti, peraltro determinat­o a causa dell’impegno del giovane ricercator­e proprio nell’attuazione dei diritti umani. E saggiare così la disponibil­ità dell’autocrate nel concorrere nell’impegno di “promuovere la democrazia e i diritti” fornendo in proposito la dovuta collaboraz­ione all’autorità giudiziari­a italiana e non ostacoland­o l’accertamen­to della verità e della giustizia come si addice a un paese che sia davvero democratic­o e rispettoso delle “libertà fondamenta­li e dei diritti”.

Così, stando le cose, forse qualche dubbio sovviene sull’affermazio­ne della premier Meloni secondo la quale “la questione Regeni è in cima alla nostra agenda”.

IPOCRISIE MELONI DICE CHE IL CASO È “IN CIMA” ALLA SUA AGENDA: DALL’OPERATO NON SEMBRA

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