Ue, crolla il tabù del nucleare: vince la crociata di destre&c.
Ci sono le elezioni, Von der Leyen apre ai fondi pubblici: Parigi vuole il soccorso al settore in crisi. Roma s’accoda (senza benefici)
La Ue è decisa: dove non si riesce ad arrivare con le rinnovabili tradizionali, urge un compromesso che sia utile alle destre, alla campagna elettorale in corso e a Paesi come la Francia e dell’est Europa che devono salvare un comparto ormai in crisi: il nucleare. Se n’è fatta testimonial ieri la presidente della Commissione , Ursula von der Leyen, durante il summit sull’atomo a Bruxelles con delegazioni da 30 Paesi, la metà europei. Questa la proposta: rafforzare investimenti pubblici e non, estendere la vita delle centrali esistenti e puntare poi ai piccoli reattori modulari. Eravamo rimasti all’incertezza sull’inserire o meno l’atomo nella tassonomia verde Ue e siamo arrivati a prevedere fondi pubblici col “sostegno dei governi per garantire che il contributo del nucleare sia adeguatamente valutato e remunerato”. Non sono mancati “i piccoli e promettenti reattori modulari”. Per l’italia, favorevolissima, c’era il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “È la soluzione migliore per il mio Paese”, ha detto.
NEL MERITO del ritorno al nucleare, è utile qui fare un sunto: quale che sia la tecnologia, le scorie sono sempre un problema ineliminabile (e la gestione italiana ne è un esempio), nuove centrali tradizionali richiederebbero troppo tempo per essere realizzate, i cosiddetti Small modular reactors (Smr) esistono solo come costosissimi prototipi, iniziative come quelle a piombo fuso della startup italiana Newcleo sono per ora solo ricerca e utilizzano le scorie delle centrali tradizionali. Anche gli altri design (come l’ultra Safe Nuclear) sono in fase progettuale. Gli Smr si studiano da anni ma restano un mistero, insolvibile prima di dieci anni. “Il nucleare è invece una questione di cruciale importanza per la Francia perché l’apparato industriale nucleare pesa tanto a livello economico – spiega al Fatto Nicola Armaroli, dirigente di ricerca Cnr, membro dell’accademia nazionale delle scienze –. Siccome nel nucleare non investe nessuno ora si coglie la palla al balzo della crisi energetica indotta dalla guerra per dire che è importante. Dovrebbero però spiegarci dove sia l’indipendenza energetica Ue in questo campo visto che i dominatori del settore sono le aziende di Stato russe e cinesi che hanno una trentina di reattori in costruzione. Il sogno di indipendenza è velleitario e richiede tempi troppo lunghi, costi altissimi e mancanza di materie prime, detenute principalmente dal Kazakistan e da un manipolo di altre nazioni, e di tecnologie”.
Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia (l’ong ieri ha protestato bloccando le strade di Bruxelles) ci spiega che il tentativo Ue, che l’italia appoggia, c’è da tempo: “Da quando il nucleare è stato inserito in tassonomia. Al tempo l’italia fece pressione per il gas, la Francia per il nucleare. La battaglia porta la bandiera francese, con un’industria nucleare quasi al collasso”. A oggi la Francia detiene la quota più alta di energia nucleare nel mix elettrico, il 69%, seguita da Slovacchia (52%) e Belgio (50%). Macron ha avviato un piano di rilancio da 48 miliardi e sei nuovi reattori al 2045. Anche la Banca europea degli investimenti ha iniziato a elargire i fondi, abbattuta la resistenza della Germania. “Eppure – continua Onufrio – gli Epr2, che dovrebbero sostituire i precedenti sono ancora indietro. L’unico reattore in costruzione, a Flamanville, lo è dal 2007, costerà oltre 19 miliardi invece di tre, e problemi tecnici sono emersi in un suo gemello in Cina”.
Pure l’accordo franco-tedesco sugli Epr è di 33 anni fa. “La Francia ha metà dei reattori fermi, vecchi e con problemi di corrosione. È un sistema molto vicino a un punto di crisi verticale, è stata fatta una massiccia ri-nazionalizzazione del settore e Macron ha ammesso che nucleare civile e militare sono contigui. Almeno su questo è stato sincero”, conclude Onufrio. La stessa necessità di tenere in piedi un settore in crisi riguarda anche gli altri Paesi pro nucleare, dalla Bulgaria alla Polonia, mentre la sponda di von der Leyen serve ad aprire la borsa dei finanziamenti pubblici per salvare il settore in vista delle elezioni. Ma a che costi, anche per i consumatori? Secondo un rapporto di Greenpeace Francia sugli Epr2, ad esempio, il conto sarà di oltre 100 miliardi di euro compresi i costi di finanziamento, per produrre energia elettrica tra 135 e 176 euro/mwh, lontani dall’attuale riferimento di 70 euro.
PROBLEMI RIFIUTI, TEMPI E TECNOLOGIE INCERTE: COSTI ORMAI INSOSTENIBILI