I CONTI IN TASCA
I fondi stanziati dagli Usa sono finiti e il nuovo pacchetto è ostaggio del no di Trump: all’ucraina servono armi e 40 mld l’anno solo per stare in piedi. L’europa non sa dove prenderli “Segui i soldi”: perché Kiev ora è un problema dell’ue
Una famosa citazione di Jean Monnet recita: “L’europa sarà forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi”. Non è certo un complimento per la democraticità del processo di integrazione, ma è un fatto che finora sia andata così e che adesso ci risiamo di nuovo: all’ultimo Consiglio i governi europei hanno discusso di “economia di guerra”, il modo esagerato in cui a Bruxelles tentano di vendere all’opinione pubblica un generale aumento delle spese militari (e del peso del settore difesa) nel continente. La via dell’unione al “keynesismo delle armi” non è certo tutta in discesa, anche perché c’è un non piccolo particolare sottaciuto nel dibattito in corso: Washington sta di fatto scaricando sull’ue “il problema Ucraina”.
ANDIAMO
con ordine. Il Kiel Institute, com’è noto, pubblica online il suo Ukraine support tracker, che raccoglie tutte le cifre disponibili sugli impegni e gli esborsi a favore di
Kiev, divisi per Paese e categorie (militari, umanitari, finanziari). A febbraio, i ricercatori del think tank tedesco hanno presentato alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza un addendum ai dati di gennaio con un grafico inquietante: quello che vedete in pagina e che mostra come il sostegno statunitense sia di fatto terminato a fine 2023 e non dia segni di poter riprendere a breve (al 15 gennaio erano stati spesi l’87% dei fondi stanziati dagli Usa, quasi finiti quelli per le armi). Il nuovo pacchetto pro-ucraina è bloccato dai Repubblicani (su ordine di Donald Trump) in Parlamento: in un anno elettorale è assai difficile trovare la necessaria intesa bipartisan su uno stanziamento da 60 miliardi di dollari e l’estate della probabile offensiva russa si avvicina. Notevole, a questo proposito, che in due anni Washington abbia finora fornito da sola aiuti militari a Kiev superiori a quelli dell’intera Unione europea (43 miliardi di euro il valore di libro stimato). Se Washington sta di fatto chiudendo il rubinetto, la palla (o il cerino) resta in mano all’unione europea. Anche per questo, dopo mesi in cui l’ucraina sembrava sparita dall’agenda, si torna a parlare della “minaccia esistenziale” russa (Emmanuel Macron) al Vecchio continente. Il Consiglio europeo di giovedì e venerdì si è concluso con un nulla di fatto: tutti d’accordo su maggiore autonomia strategica, sul rafforzamento della produzione militare europea e su un maggiore sostegno all’ucraina, ma i soldi non si sa chi li deve mettere.
Se ne riparlerà a giugno, ma nel frattempo l’ue non è andata neanche vicina a fornire all’esercito ucraino tutte le munizioni che si era impegnata a dargli: la mancanza di proiettili per l’artiglieria “è umiliante per l’europa”, ha detto Volodymyr Zelensky; la risposta dei governi Ue è la promessa di “accelerare nelle consegne”. Il problema è da un lato industriale, dall’altro finanziario: il nostro settore della difesa non è in grado di produrre tutto quel che serve e per comprare in giro quel che manca servono i soldi e trovarli non è così ovvio.
Diamo intanto qualche cifra: i Paesi dell’unione da soli e l’ue come istituzione, secondo il Kiel Institute, hanno finora stanziato 144 miliardi di euro per l’ucraina (67,7 gli Stati Uniti, oltre 40 miliardi gli altri a partire dalla Gran Bretagna). I soldi comunitari (85 miliardi) sono stanziamenti pluriennali e finora sono stati spesi per un terzo, ci sono cioè una cinquantina di miliardi impegnati fino al 2027, ma per dare un’idea delle grandezze necessarie all’impresa basti dire che a Kiev, solo per stare in piedi come Stato, servono oltre 40 miliardi all’anno: senza gli Usa, il conto arriverà quasi per intero nelle capitali europee, che non paiono intenzionate a pagarlo.
PER QUESTO SI FA un gran parlare dei fondi congelati alla Banca centrale russa, 210 miliardi nel territorio dell’ue su circa 300 totali: “Se la guerra è lunga, sanguinosa e molto costosa, a un certo punto dovremo prenderci i loro asset”, dice il presidente della banca centrale lettone Martins Kazaks, “sempre meglio che aumentare le tasse...”. Per ora si ipotizza di usare gli interessi maturati in questi due anni per comprare armi: parliamo di 3 miliardi in tutto, un po’ poco se si pensa che il flusso di armamenti dagli Usa a Kiev nella prima metà del 2023 valeva 2,8 miliardi al mese. Quanto a mettere le mani su tutto il malloppo per darlo a Zelensky e soci pone problemi giuridici e, ancor più, reputazionali, nel senso che si rischia che molti investitori portino via capitali dall’eurozona. Motivo per cui Francia, Germania
e la stessa Bce non gradiscono molto la proposta.
Di fronte a questo dirupo, i governi e l’ue parlano d’altro, cioè di aumentare nel medio periodo le spese per la difesa in Europa e costruire una qualche forma di integrazione militare (nell’ipotesi, come si diceva una volta, che i cosacchi vogliano abbeverare i cavalli in Vaticano dopo essersi presi Kiev). Ovviamente anche per questo servono soldi e ci sono alcuni ostacoli non da poco: l’estonia, appoggiata da alcuni Paesi tra cui Francia e Italia, propone di ricorrere agli Eurobond, debito comune; i “frugali” rispondono che ci devono pensare i singoli Stati e che al massimo si possono usare i prestiti della Banca europea degli investimenti. Ad oggi esiste un mini-fondo da 1,5 miliardi nel Bilancio dell’unione, nonostante i Trattati Ue vietino di usare il bilancio comune per la difesa (la Commissione ha incaricato un gruppo di giuristi di capire come aggirare il divieto). Non solo: anche le regole interne della Bei non sono favorevoli agli investimenti in armamenti. Basta ricordarsi di Jean Monnet: “L’europa sarà forgiata nelle crisi”. L’ucraina, però, c’entra pochino.