“Oggi non rifarei più la ballerina” Abbagnato, confessioni da Étoile
“Una fatica enorme E a Parigi mi davano della ‘petite’ mafiosa”
Eleonora Abbagnato - Una stella che danza. La celebre ballerina, Étoile dell’opéra de Paris e direttrice del corpo di ballo e della scuola di danza del Teatro dell’opera di Roma, si confessa nel docufilm omonimo (proiettato in anteprima al Bif&st), per la regia di Irish Braschi, che verrà trasmesso venerdì 29 marzo in prima serata su Rai Tre. Abbagnato, dai piedi “esce sangue, entra mestiere”: ha mai avuto bisogno di una trasfusione?
(Ride) Tante, direi. Il percorso è molto difficile, oggi forse non lo rifarei. C’è competizione, un continuo mettersi in questione: mai cessare di migliorare, di capire quello che c’è da cambiare, nel fisico, a livello mentale. La fatica è enorme.
Il sacrificio più grande?
Lasciare la famiglia. Nondimeno sua figlia Julia, che la interpreta bambina nel doc, sta ripercorrendo le sue stesse orme sulle sue stesse punte. Purtroppo. È stata quasi forzata ad amare la danza, il teatro, perché è stata sempre con me. Dal primo giorno me la sono portata a Parigi. Neonata, se ne stava buona dietro le quinte, presa completamente dal mondo artistico.
“Chi è bravo è solo”, ne è valsa la pena di questa solitudine?
Oggi non la riaffronterei. Bambina e adulta, comunque sola, ad affrontare lo stress del Teatro dell’opéra di Parigi.
La nomina a étoile gliel’hanno fatta sudare.
Avevo un carattere molto difficile. E l’ho ancora adesso che dirigo. Mi si vede in faccia quel che sento, non dissimulo. Ero molto amata dai coreografi, ero assai spinta, e questo dava forse fastidio alla direttrice. Ho dovuto faticare di più, è stata una nomina tardiva, ma i ruoli importanti li danzavo già all’età di diciotto anni. Strano, prima ho bruciato le tappe, poi mi hanno fatto aspettare.
A Parigi la chiamavano la piccola mafiosa.
Adesso rido, ma non c’è nulla da ridere. Be’, le mamme delle ballerine le conosciamo, no? Soprattutto, non c’erano altri stranieri, davo fastidio. Era il ’95, ero sempre la prima classificata, e come potevano i genitori delle altre accettarlo?
Lo sciovinismo dei francesi lo conosciamo.
Comunque, tengono al loro paese. Una cosa negativa per alcuni aspetti, per altri no, potremmo prendere tanti spunti. Io li prendo quando lavoro al ministero, sui progetti per i giovani: con la cultura e gli artisti ci si comporta in un certo modo, e i francesi lo sanno.
Julia a parte, ha lasciato eredi?
Lavoro con il Teatro dell’opera di Roma da quasi nove anni, ho costruito un futuro per questa compagnia, per questo teatro. Ne vado molto fiera perché non è stato facile. Sono riuscita a formarne i ballerini, oggi si parla tanto di balletto: questo era il mio obiettivo, per non costruire niente non sarei tornata in Italia.
Vasco dice che lei è molto rock.
Sicuramente ho un percorso diverso da tante ballerine classiche. E questo è stato attrezzato anche dagli incontri che ho avuto, da Vasco a Baglioni, da Ficarra e Picone a Bonolis. Siamo tutti professionisti di alto livello, che amano quello che fanno.
Oggi per chi danzerebbe?
Per me stessa, perché la danza ti dà tanta riflessione sulla tua persona, ti dà libertà. È quello che fa anche lo sport. Riesce a rinchiuderti in una palla di vetro, vivi i tuoi momenti e sei da solo, e tutto quello che succede fuori non lo consideri.
Nella danza le donne sono privilegiate rispetto agli uomini, o nemmeno lì?
A dire la verità oggi ci sono molti più ballerini che ballerine. Parlo di qualità, non di numeri.
Come se lo spiega?
Ai miei tempi non era così, ma è una evoluzione bella, significa inclusione: la danza deve essere per tutti. I genitori
pensano soltanto a iscriverli a calcio, ma i figli maschi possono benissimo studiare danza. Io ho 160 allievi, ci sono più di 60 maschietti e devo dire che sono meravigliosi, per come si comportano. La disciplina che un maschio può avere, il sacrificio.
Che cosa le ha dato la sicilianità, e cosa le ha tolto.
Mi ha tolto che me ne sono dovuta andare, questo. Lo dico spesso, i talenti italiani devono partire per fare carriera. Però alla Sicilia sono rimasta molto legata. Tutta la mia famiglia è ancora lì. Io sono andata via, ma ho avuto la fortuna di trovare dei grandi maestri all'estero.
E in Sicilia una grande prima insegnante.
Molto intelligente, è stata brava a dirmi “non rimanere qua, perché io più di questo non posso darti”. Si chiama consapevolezza, l’ho vissuta anch’io in questi anni con i miei allievi della scuola del Teatro dell’opera. Ieri una ragazza l’ho mandata a Monaco di Baviera: per farla volare.
Opéra o Opera, alla fine cambia poco.
Non per il budget, purtroppo.