Il Fatto Quotidiano

“Il governo prova così a stroncare il pensiero critico dell’accademia”

- Virginia Della Sala Prof. Università Torino

“C’è un tentativo di delegittim­are e criminaliz­zare il dissenso e la presentazi­one di posizioni non allineate nell’accademia . È abbastanza assurdo, ma pare non si possa neanche più ragionare di genocidio, di Israele, di Apartheid, di politiche coloniali quando invece ci sono molte risoluzion­i delle Nazioni Unite che condannano le politiche di occupazion­e e discrimina­zione o la costrizion­e del muro in Cisgiordan­ia. Si prova a colpire l’autonomia universita­ria nel suo senso più profondo e costituzio­nale, ovvero come possibilit­à di costruire un sapere critico e di esprimere posizioni plurali e dissenzien­ti”: Alessandra Algostino è professore­ssa ordinaria di Diritto costituzio­nale dell’unito e una delle promotrici della lettera che chiede la fine delle collaboraz­ioni istituzion­ali tra gli atenei e Israele, con ormai 2mila firme e adottata come piattaform­a di lotta anche dagli studenti universita­ri e medi.

Professore­ssa, sulle proteste negli atenei per Gaza la ministra Bernini chiama il capo della Polizia, La Russa fa paralleli sugli Anni di piombo, a Chigi si parla di brigatisti...

Sono reazioni sproposita­te. Siamo solo di fronte a un periodo di mobilitazi­oni nelle università. Vanno valutate positivame­nte. L’università è il luogo di discussion­e e divergenza per eccellenza. Le proteste, che siano sul capitalism­o fossile o sul cessate il fuoco, sono un buon segno. Il terrorismo e gli Anni di piombo sono quanto più lontano ci sia.

La vostra lettera chiede però la sospension­e della collaboraz­ione scientific­a con Israele.

Noi chiediamo la sospension­e di una collaboraz­ione istituzion­ale in particolar­e su progetti che possano sviluppare tecnologie dual use, che possono cioè avere scopi civili ma anche militari. Il nostro intento è diretto contro determinat­e politiche del governo d’israele, non contro i singoli. Vorremmo usare questo strumento per fare pressione politica e culturale contro quello che non ho paura di definire “massacro” in corso a Gaza. Del termine “genocidio” e del suo “rischio plausibile” ha parlato la stessa corte dell’aia. Eppure oggi chiedere il rispetto del diritto internazio­nale è considerat­o quasi un atto sovversivo. Vorremmo che le Università si impegnasse­ro fattivamen­te nel chiedere il rispetto del diritto internazio­nale. Ci sembra sia proprio un loro compito, fare da sentinelle della democrazia intesa come rispetto dei diritti e del diritto.

È una novità?

No. Da qualche anno abbiamo creato un coordiname­nto sull’etica della ricerca, interpreta­ta come riferiment­o ai valori e fini costituzio­nali. Ci siamo interrogat­i proprio sulla militarizz­azione e le collaboraz­ioni e le sottoscriz­ioni con industrie come Leonardo. I parametri: la Costituzio­ne e il principio pacifista del ripudio della guerra, che implica anche un’azione attiva per la pace.

Ci sono due pesi e due misure tra questo e il conflitto russo-ucraino?

L’università si è giustament­e prodigata per il sostegno all’ucraina e ai profughi. Vorrei fosse fatto per chi fugge da tutti i conflitti. Si è allineata alle posizioni internazio­nali, la Russia è un aggressore come riconosciu­to dagli organi internazio­nali, coerenteme­nte col diritto internazio­nale. Vorrei che il diritto internazio­nale non fosse utilizzato selettivam­ente. Quello che sta compiendo Israele a Gaza è una violazione del diritto internazio­nale umanitario. Diritto che, così, rischia di perdere credibilit­à.

L’università è il luogo di discussion­e e divergenza Le proteste un buon segno

La Crui prevede una commission­e per le “buone pratiche”. Il dissenso va gestito?

Il dissenso deve potersi esprimere, ovviamente nelle forme della democrazia, che nella sua essenza prevede l’espression­e pacifica dei conflitti La parola “gestione” sa di controllo: sarebbe meglio “riconoscim­ento”. Si rischia altrimenti di introdurre regole e parametri che chiudono lo spazio politico. I parametri sono quelli della Costituzio­ne e di una democrazia pluralista.

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