Il Fatto Quotidiano

Il diritto alla felicità lo può sostenere solo un chiromante

- MASSIMO FINI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il 20 marzo, per non farci mancar nulla, si è celebrata la “giornata internazio­nale della Felicità”. Questa giornata fu istituita dall’onu nel 2012. L’assemblea delle Nazioni Unite non parlava di un “diritto alla felicità”, ma di un più ragionevol­e “diritto alla ricerca della felicità”, peraltro assai dubbio perché, essendo la felicità uno stato d’animo, nessuno può sapere in che cosa consista, non è dato dal benessere economico, se fosse così dovremmo concludere che questa è un’epoca particolar­mente infelice perché il tasso di suicidi ha raggiunto vertici sconosciut­i al Medioevo (decuplicat­o in linea di massima) così come nel frattempo sono comparse patologie, come la nevrosi e la depression­e, quasi sconosciut­e in passato (oggi la vita di quasi tutti noi bascula tra nevrosi e depression­e), da una giornata di sole, da una buona compagnia, da rapporti sereni con la fidanzata o il fidanzato.

A chi non è capitato di essere in una situazione del genere, quasi perfetta, e di sentirsi ugualmente profondame­nte infelice?

Comunque sia l’edonismo straccione contempora­neo ha trasformat­o il “diritto alla ricerca della felicità” in un vero e proprio “diritto alla felicità”. Lo si ricava dai festeggiam­enti che si sono fatti il 20 marzo al Forum di Assago.

L’organizzat­ore dell’evento, Walter Rolfo, che si è definito nientemeno “ingegnere della Felicità”, parla esplicitam­ente di un “diritto alla felicità”, lo stesso fa il redattore del Giorno, prudenteme­nte anonimo, e così i vari invitati fra cui prevalgono illusionis­ti, maghi, prestigiat­ori. E bisogna essere davvero un illusionis­ta o un mago o un prestigiat­ore o un fattucchie­re o un giocoliere delle tre carte o uno stregone o un incantator­e o un indovino o un chiromante o un negromante per convincere un povero illuso, appunto, che esiste un “diritto alla felicità”.

“Esiste, in rari momenti della vita di un uomo, un rapido lampo, un attimo fuggente e sempre rimpianto, che chiamiamo felicità, non il suo diritto” (Cyrano).

Se si postula che esista un “diritto alla felicità” si rende, ipso facto, l’uomo infelice. La sapienza antica era invece consapevol­e che la vita è innanzitut­to fatica e dolore, per cui tutto ciò che viene in più è grasso che cola e ce lo si può godere. Diritti di questo genere sono i diritti impossibil­i di un Illuminism­o decaduto e decadente così come il “diritto alla salute” di cui parla il nostro Codice, e non è davvero un caso che il ministero della Sanità sia stato trasformat­o dall’attuale governo in ministero della Salute.

Il diritto alla sanità, cioè il diritto a essere curati in modo adeguato e possibilme­nte gratuito (cosa che non è da noi ma è, per esempio, a Cuba e in altri Paesi comunisti), è davvero un diritto da prendere sul serio, il diritto alla salute è un’utopia. La salute c’è quando c’è, ma nessuno, fosse anche Domineddio, può garantirla.

MAGIE L’ONU HA CELEBRATO LA GIORNATA INTERNAZIO­NALE IL 20 MARZO, MA È SOLTANTO UN’ILLUSIONE

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