“Quel questionario non cerca i migliori ma i più conformisti”
Itest psicoattitudinali? Premiano le personalità standardizzate, che tendono ad appiattirsi sulle convenzioni sociali. Perciò non serviranno a reclutare magistrati migliori, anzi: rischiano di far perdere per strada i più adatti al delicato ruolo di decidere sulle vite altrui. Ne è sicuro Sarantis Thanopulos, 72 anni, psichiatra e psicoanalista, presidente della Società psicoanalitica italiana. Vent’anni fa, nel lontano 2004, Thanopulos era stato uno dei 170 psichiatri e psicologi firmatari di una lettera-appello contro il ddl firmato da Roberto Castelli, Guardasigilli leghista di Silvio Berlusconi, per introdurre la selezione psicologica degli aspiranti giudici e pm: un meccanismo definito privo di basi scientifiche e capace di produrre subordinazione alla politica. Ora che l’obiettivo – un vecchio sogno del piduista Licio Gelli – è stato raggiunto dal governo Meloni e dal ministro Carlo Nordio, non ha cambiato idea sulle controindicazioni.
Cosa non la convince?
I test servono a indicare – in modo indiretto e non sempre affidabile – la presenza di una sofferenza psichica. Ma che c’entra questo col lavoro dei magistrati? Un magistrato deve avere senso di responsabilità nei confronti della collettività, delle sue leggi e della persona umana. Perché la sofferenza psichica dovrebbe impedirlo? Non è altro che un pregiudizio.
Dal centrodestra le risponderebbero: “Chi manda in galera la gente non può avere patologie psichiatriche”.
La “normalità” è sopravvalutata. Ci sono persone che magari soffrono di depressione, ansia o angoscia, e proprio per questo sono molto più responsabili di chi non le ha mai vissute. D’altronde la sofferenza è umanizzante, ci rende più vicini all’altro. Ovviamente non sto parlando di forme di follia manifesta, che rendono impossibile svolgere qualsiasi lavoro, non solo quello di magistrato. Ma per quelle ci sono altri rimedi.
Come giudica quindi l’introduzione dei test nel concorso?
Sono pericolosi perché sottopongono la particolare funzione del magistrato, che è una funzione etica, ai parametri utilizzati per l’assunzione nelle aziende. Le prove psicoattitudinali servono a valutare la conformità a un sistema, valorizzano chi rispetta le aspettative sociali. Ma un magistrato non deve conformarsi ad alcun sistema: la stessa legge non va intesa come un testo statico a cui adeguarsi, ma come un insieme di valori politici e culturali. Pensare che con i test a
‘‘ Se anche ci fosse una sofferenza psichica, che c’entra questo col lavoro di un magistrato?
vremo magistrati migliori è fuorviante e, a mio avviso, retorico.
Sta dicendo che c’è un rischio di “normalizzazione” delle future toghe?
Certo che c’è. Si rischia di selezionare personalità “nella media”, penalizzando chi ha un pensiero originale, chi si interroga e proprio per questo è più capace di dare un giudizio equilibrato. Il magistrato deve esercitare il buonsenso, non adagiarsi sul senso comune. Servono persone dalla mentalità aperta, e i test non sono per nulla adatti a valorizzarla. Dall’altra parte, non è affatto vero che i peggiori giudici e pm debbano per forza mostrare problemi psichici: anzi, dal punto di vista “psicoattitudinale” molti risulterebbero nella norma. I sistemi per controllare il lavoro dei magistrati ci sono già, e sono quelli istituzionali. Tutto il resto è ideologia.
Le prove psicologiche non servono a fornire un elemento in più alla commissione?
Assolutamente no: anzi, rischiano di distorcere la realtà, compromettendo l’efficacia della selezione. D’altronde non è possibile valutare nulla dal punto di vista scientifico, perché non esistono griglie o misure adeguate: gli esperti chiamati a interpretare i test dovranno fare un esercizio di ipocrisia.
Insomma, c’è ancora il pericolo di una selezione basata sulla tendenza politica?
Anche peggio: su una tendenza adesiva alla società e ai suoi canoni morali. La giustizia non è morale, è umanità.