FAR RIDERE SUI “GRASSONI” E SUGLI LGBTQ+: ATTENTO, RICKY, CHE IL BULLO SEI TU
La svolta reazionaria di Ricky Gervais, uno dei cabarettisti più noti al mondo, è simile a quella di Dave Chappelle, e altrettanto dolorosa per i fan della prima ora. Stiamo dando un’occhiata al suo ultimo show, Armageddon.
GERVAIS: “Sono sicuro che le persone non si offendevano di continuo, quando ero piccolo. Non gli adulti. Non i tuoi genitori, non i tuoi nonni. Sono cresciuti schivando le bombe, i loro primogeniti avevano la poliomielite e gli uomini morivano a 50 anni di malattie polmonari. Potevano sopportare una battuta del cazzo”.
Questo è il sofisma tipico dei comici di destra. Fanno i bulli contro le minoranze; quindi accusano i bersagli delle loro battute di “offendersi”, come se il problema fosse che l’altro è suscettibile, non che loro sono bulli. E fanno pure le vittime: “Non si può più dire niente!”. Come se ci fosse libertà di bullismo. Se fai il bullo, non puoi fare la vittima. E se sei uno degli stand-up comedian più famosi al mondo, le tue battute diventano molto pericolose, quando per far ridere una platea di 180 milioni di persone (il pubblico di Netflix) ti servi di stereotipi denigratori e banalizzazioni reazionarie, poiché la risata che provochi col tuo bullismo sdogana il bullismo. Non sono affatto solo “battute del cazzo”. Un altro esempio di banalizzazione reazionaria è quando Gervais immagina la moglie di Dio che gli fa domande sulla creazione. MOGLIE: “Cos’è il Dna?” DIO: “È come il progetto della vita. Determina come sei, di che sesso sei”. MOGLIE: “Quanti sessi ci sono?” DIO: ”Due” . Una battuta contro la comunità LGBTQ+. Ma l’identità di genere non c’entra con l’anatomia. La questione è più complessa, tanto che, per definire e classificare le identità sessuali, psichiatri, sessuologi e legislatori usano tre criteri: sesso, identità di genere e orientamento sessuale; e nelle categorie le opzioni non si limitano a maschio/femmina. Il genere con cui ci si riferisce a una persona deve essere scelto dalla persona stessa, non possono deciderlo J.K. Rowling, Chappelle o Gervais.
GERVAIS:
“Immaginate che io sia in un campo di concentramento. Sono nudo. Intorno a me sono tutti nudi. Un comandante ci sta guidando verso la camera a gas e mi fa: ‘Muoviti, grassone’. E io dico ‘Maleducato. Questo ha rovinato l’intera esperienza, se devo essere sincero’”.
Per denigrare le vittime del bullismo, Gervais immagina una persona dalla reazione assurda in un campo di concentramento. Mette se stesso nel ruolo della vittima, ma gli sfugge un piccolo dettaglio: quando fa le sue gag, è lui il comandante nazista che fa il bullo col grassone.
GERVAIS:
“Dicono che siete cattivi se ridete di queste cose. No, non lo siete. Primo, non puoi scegliere il tuo senso dell’umorismo. È involontario. E secondo, è proprio a questo che serve l’umorismo: a ridere delle brutte cose per superarle. Tutte le risate sono buone”.
No. 1) Il cattivo è chi fa il bullo con le gag. Proprio perché la risata scatta come un riflesso, le gag tossiche sono pericolose: sdoganano il comportamento violento. Ma ridere non impedisce il giudizio; e la risata non giustifica il bullismo. 2) Ridere di una vittima non “supera” il bullismo, lo assolve. Non è affatto una cosa buona. Mai.