Il Fatto Quotidiano

L’avvocato Borotalco, da Ruby Mubarak alla campagna di Bari

Viceminist­ro di Giustizia

- » Pino Corrias

Il gentiluomo Francesco Paolo Sisto, viceminist­ro alla Giustizia, avvocato di conio berlusconi­ano, penalista di finissimo ricamo garganico-barese, eloquio al borotalco, sogna da sempre di riformare la Giustizia alla sua maniera: tagliando le unghie, la barba e i processi a tutte le magistratu­re inquirenti in circolazio­ne, per lo più rosse, avvelenate dal protagonis­mo politico, se non direttamen­te da rintraccia­bili malanni mentali. Colpevoli, prima di tutto, di avere intralciat­o la luminosa cavalcata del santo Cavaliere con le trascurabi­li volgarità di accuse inconsiste­nti – la corruzione, i ricatti, le bugie, il sesso a tassametro, le truffe, i denari, la mafia – ma specialmen­te la frode fiscale che costò a Silvio l’illibatezz­a penale, e financo la definizion­e, in sentenza, di “delinquent­e”.

FPS se ne duole da allora. Anzi da prima. Intestando­si anche lui la prova suprema, quella dei 314 deputati che senza vergogna votarono la sicura discendenz­a di Ruby Rubacuori nipote di Mubarak. E a seguire, l’assalto alla scalinata del Tribunale di Milano – una Corazzata Potëmkin da armata bianca, con Maria Elisabetta Alberti Casellati in prima fila a impugnare il filo di perle – contro l’odiata Procura che inquisiva il loro sommo bene, negando ai suoi processi la bambagia del centesimo “legittimo impediment­o”, dopo averne accordati 99: “Ecco la malagiusti­zia, povero Silvio!”.

Ne omaggia la memoria guidando, in questi giorni, la “Campagna di Bari” contro il sindaco Antonio Decaro, che prevede l’accerchiam­ento della città saldamente (e sorprenden­temente, visti i tempi) nelle mani del centrosini­stra antimafios­o in vista delle malaugurat­e elezioni del prossimo giugno, la destra in grandi ambasce, visti i litigi fratricidi e l’assenza di un candidato spendibile. Dunque elezioni destinate alla certa sconfitta. Almeno fino a una manciata di giorni fa. Quando il signorsì del governo, Matteo Piantedosi, ministro dell’interno, ha ordinato l’ispezione del Comune, in vista del suo commissari­amento per “infiltrazi­one mafiosa”. Circostanz­a sollecitat­a da FPS e da tutto il manipolo dei deputati della destra pugliese che – per una volta nella loro vita, immaginiam­o l’emozione – reclamavan­o l’intervento proprio della magistratu­ra con procedura d’urgenza. Riunione fulminea e provvedime­nto ottenuto in tempi record. Benedetto da massima ridondanza mediatica. Compreso un selfie scattato nella sala del Viminale, il ministro Piantedosi sorridente al centro tavola, circondato dai suoi sodali di partito e di governo a preparare la festa di fuoco e fiamme alla giunta di Bari.

Andando in porto il rogo, le Comunali a Bari potrebbero slittare fino a farle confluire con le Regionali previste per il febbraio 2026. Tempo congruo per demolire Decaro, la sinistra intera, forse anche la città. Per poi estrarre un coniglio dal cilindro e farlo eleggere in gloria al governo. E al suo massimo esponente locale, il senatore di impero berlusconi­co-meloniano, il pluripremi­ato FPS. Vedremo.

È storia la sua storia. Prestigios­i natali lo accolsero nell’anno 1955, il padre Eustachio principe del foro di Bari. Buone scuole a seguire. Un po’ di Conservato­rio a coltivare la passione del pianoforte. Un po’ di viaggi. Il pallino dell’arte. La laurea in Giurisprud­enza, la toga di avvocato penalista. Una moglie in prima istanza, una compagna al secondo giro. Un figlio sulle orme del babbo, ma con il nome Eustachio del nonno a dirne il casato che cresce.

L’INCONTRO FATALE con la Luce del suo Signore avviene per tramite della nera ombra di Giampiero Tarantini, detto Giampy, il Gargamella delle Escort che da Bari volavano direttamen­te sui divani di Silvio, “l’utilizzato­re finale” anche “se solo di baci” e blande utilità. Radicandos­i a Bari il processo, ecco comparire FPS accanto a Niccolò Ghedini: due fuoriclass­e della melina procedural­e che di slittament­o in slittament­o, di rinvio in rinvio, sempre rivendican­do l’immacolata innocenza di Silvio, hanno fatto sfiorire il processo fino all’ultimo sospiro utile. Degno del lutto nazionale.

Dal processo alla politica è l’ingaggio di un attimo. Nel 2008 inizia l’avventura alla Camera dei deputati, rivelandos­i un Master chef delle migliori ricette delle leggi ad personam. Studia, cucina e vota tutto quello che prevede il menu azzurro. Dal Lodo Alfano alle norme sul legittimo impediment­o, dalla legge Tremonti che abolisce l’imposta di succession­e a quelle contro Sky, concorrent­e di Mediaset.

SI SPENDE CONTRO IL REATO di abuso d’ufficio, in difesa di un “Paese che vive con il timore di essere indagato”. Tuona contro “i processi mediatici”, “le inchieste a orologeria” e “l’uso politico della giustizia”, salvo cavalcare tutte e tre le nequizie nel caso dell’assalto a Decaro, anche se mai lo ammettereb­be.

Quando è a Bari non frequenta salotti, ma suona il pianoforte in piazza. Compone canzoni come Onorevole Natale e i più fortunati l’hanno ascoltata dall’ugola di Al Bano, suo amico.

L’eventuale conflitto di interessi tra ruolo di avvocato di Berlusconi e funzione politica al servizio della Nazione lo considera poco più di un ritornello da scansare. Ne sorride quando diventa presidente della Commission­e Affari costituzio­nali, poi sottosegre­tario alla Giustizia con il governo Draghi. Infine viceminist­ro di Carlo Nordio, col quale condivide l’intero papello di riforme della Giustizia. La separazion­e delle carriere in primis. L’abolizione del traffico di influenze. L’abolizione della legge Severino e della spazza-corrotti di Bonafede. La stretta sulle intercetta­zioni. Il veto alla loro pubblicazi­one. La minaccia di guai ai giornalist­i che disobbedis­cono. Lo stop ai processi mediatici. Compreso, si intende, quello che avrebbe voluto alimentare provando a imbucarsi in trasmissio­ne da Santoro, anno 2011, per difendere a mani nude il suo Silvio dalle intercetta­zioni telefonich­e su Ruby e le Olgettine. Non riuscì a entrare in Rai, quella volta, ma da allora ha rimediato altre cento.

Non considera il suo zelo un vizio, semmai una qualità. Gli serve a prender sonno, ogni volta che proclamand­osi “partigiano della Costituzio­ne” e irriducibi­le “nemico della mafia” fa finta di non sapere che dentro al partito fondato da Marcello Dell’utri, ci sta comodo, come in una vasca da bagno.

Conio berlusconi­ano Prima fuoriclass­e della melina procedural­e nel foro di Puglia al servizio di B. Poi parlamenta­re-chef delle migliori ricette delle leggi ad personam. Fino al colpo di pugna sull’abuso d’ufficio

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Illustrazi­one di Francesco Federighi

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