IL GIORNALISMO, IL PREMIO “GROSSA SCIOCCHEZZA” E LE INTERVISTE TRUCCATE
Non mi stupisce il disprezzo del giornalista per l’intervista a domande e risposte scritte: gli rompe il giocattolo; ma io la caldeggio, poiché un’esperienza trentennale di cavia coatta mi ha reso guardingo. C’è chi ti interroga per un’ora, poi riassume quello che vuole lui con le parole che vuole lui, addirittura attribuendoti frasi che non hai mai detto, per metterti in mezzo. Dai risposte competenti? Quello infarcisce ogni tua frase con la parentesi (ride), facendoti fare la figura dello scemo. Invii una mail di protesta? Non la pubblicano. Un altro ti telefona a ore improbabili, supplicandoti per un’informazione; tu sei in silenzio-stampa, ma lui insiste, quasi in lacrime, che devi aiutarlo, altrimenti finisce nei guai col direttore; tu allora gli vai incontro: “Va bene. Ma non devi attribuirmela” “Certo”. Il giorno dopo apri il giornale: “Luttazzi dice che…”. Dai un’intervista sulla comicità, facendo esempi, ma senza fare nomi (e alla condizione che il giornalista non li faccia) perché quello che importa è il tema generale, non il caso particolare? Inevitabilmente il pezzo esce con il nome di tutti i comici a cui ti riferivi, in modo che il giornale possa titolare: “Luttazzi contro questo e quello” (per i giornalisti l’intervista è un fallimento, se l’intervistato non attacca qualcuno). Allora telefoni al giornalista: “Perché l’hai fatto?”. E lui: “Il direttore mi ha detto che altrimenti non mi pubblicava il pezzo”. Schiene dritte. Dici una frase brillante? Lui capovolge quella risposta in una propria domanda per adornarsene. Spieghi al giornale “di sinistra” per quale motivo il Pd appena nato è “un’inevitabile stronzata”? Tagliano domanda e risposta. Fai una battuta su un politico che gli piace? La tagliano. Fai una battuta su qualche grande inserzionista? La tagliano. Racconti al Times (Murdoch) della volta che quelli di Sky (Murdoch) si fecero di nebbia quando capirono che non avresti accettato la censura nel programma satirico che volevano affidarti? Ti tagliano: ed era un’intervista sulla censura! I più bastardi ti fanno domande generiche, poi pubblicano le tue risposte CAMBIANDO LE DOMANDE, e così sembri uno che dribbla l’istruttoria perché ha qualcosa da nascondere. Per difenderti dalle imboscate, insomma, non c’è che l’intervista a domande e risposte scritte. Conosco l’obiezione: questo tipo di intervista impedisce lo scandaglio dell’intervistato, né permette di metterlo all’angolo, se è il caso. Non col mio format: propongo sempre tre round di domande e risposte scritte, così il giornalista puoi incalzarmi e contraddirmi quanto vuole. Non accettano mai. E adesso guardateli quando intervistano la Meloni.
In Italia esistono due flotte giornalistiche: una, minuscola, cerca di resistere all’andazzo del cazzo. L’altra, gigantesca come la Morte Nera, è invece impegnata quotidianamente a produrre consenso ai rapporti sociali e di potere dominanti, cioè fa parte del Blocco industriale-politico-mediatico che, dopo aver mandato a picco il welfare, governa l’occidente col precariato di massa, le politiche antisociali e le speculazioni finanziarie; infatti è esperta di greenwashing, l’operazione di marketing che consiste nello sposare l’ambientalismo a parole, per attirare i babbioni: come quando Repubblica, un secolo fa, lanciò l’iniziativa “piantiamo un albero nella tua città”, mentre il padrone De Benedetti purificava l’aria con i fumaioli di Sorgenia e della partecipata Tirreno Power. Da due anni i giornalisti della Morte Nera stanno dando spettacolo su Ucraina, Gaza, Assange, ciascuno al proprio posto come i cani a una esposizione. Vespa, Molinari, Cerasa, Riotta, Battista: più è grossa la sciocchezza, più ci tengono a dirla. Non fanno che annusare l’uno la piscia dell’altro. E tutti quella di Biden. Chi vincerà il primo premio?