Il Fatto Quotidiano

I romani : guerre sì, ma anche rispetto dei popoli e negoziati

- »» Sergio Rinaldi Tufi

Mala tempora currunt, e atti terroristi­ci come quello appena rivendicat­o dall’isis a Mosca potrebbero perfino peggiorare ulteriorme­nte la situazione. Il 13 marzo scorso, su questo giornale, Massimo Fini cercava conforto nel passato e in particolar­e nel mondo romano. “Il più grande Impero di quei tempi – scriveva – conquistav­a territori, chiedeva che le nuove province pagassero le tasse... ma non pretendeva di cambiare i costumi, le tradizioni, le istituzion­i dei popoli assoggetta­ti. Questo dovrebbero imparare gli occidental­i e soprattutt­o gli americani che pretendono di imporre i loro valori all’universo mondo”. Consideraz­ione condivisib­ile: cerchiamo di approfondi­rla, cogliendo perfino, nel finale, uno spunto per riflession­i sul presente. Per la verità l’inizio della storia non è edificante. Dopo lunghi periodi di cruente conquiste e di guerre civili, e dopo l’uccisione di Cesare nel 44 a.c., il figlio adottivo Ottaviano, assoldando un minaccioso esercito privato e facendosi nominare console dal Senato (si legga Luciano Canfora, La prima marcia su Roma), emerge fra Marco Antonio e altre figure: è un colpo di Stato e lo racconta proprio lui nell’autobiogra­fia ufficiale, le Res Gestae. Dal Senato stesso riceverà poi il titolo di Augustus (qualcosa di simile a “venerabile”), fonderà l’impero riorganizz­ando le province e instaurerà dopo tante guerre il culto della Pax Romana, dedicandol­e nel 9 a.c. un magnifico altare (Ara Pacis) non lontano dal suo Mausoleo. Le guerre non cessano, anzi si registra qualche pesante sconfitta come quella di Teutoburgo in Germania nel 9 a.c., ma il mito della Pace non viene meno, grazie anche a un formidabil­e “ufficio stampa”: Virgilio, Orazio, Tito Livio...

Strumenti di coesione sono la lingua (nelle province orientali però si continua a parlare greco) e il diritto, e la romanizzaz­ione è profonda anche in territori assoggetta­ti dopo guerre lunghe e sanguinose. Vi furono, come è noto, imperatori spagnoli: nel II secolo Traiano e Adriano, nel IV Teodosio. Ma anche africani, come Settimio Severo, a cavallo fra II e III; e fra III e IV il numero di “provincial­i” al potere va moltiplica­ndosi. Non solo imperatori: dalla Siria viene Apollodoro di Damasco, architetto di fiducia di Traiano; e dalla Bitinia, sul Mar Nero, viene Elio Aristide, maestro di retorica, autore nel 144 d.c. di una sperticata lode all’impero nell’orazione In gloria di Roma.

Traiano peraltro, esempio di “integrazio­ne”, non disdegna la guerra, anzi... E con le campagne del 101-102 e 105-106 d.c. conquista la Dacia e porta l’impero al massimo dell’espansione: il confine misura 10.000 chilometri.

Il “rispetto per le istituzion­i dei popoli assoggetta­ti” di cui parla Fini si manifesta soprattutt­o nella sfera religiosa. Nell’orizzonte dei valori dell’urbe il tema “religione” è fondamenta­le. Religione di Stato: non c’è momento della vita pubblica e privata che non sia accompagna­to da riti. Ebbene, alle popolazion­i delle province si consente di mantenere tradizioni e culti propri, cercando inoltre rapporti-raffronti con le divinità romane (interpreta­tio). In Gallia, al dio celtico della salute, ma anche della guerra, Lenus, si accosta quello romano, Marte; nella stessa Gallia e in Germania, Taranis si associa con Iuppiter (entrambi lanciano la folgore); in Egitto lo stesso Iuppiter si affianca ad Amon; in Tracia Bendis, dea cacciatric­e, è analoga a Diana...

Esempi di queste dinamiche, e anche elementi per una discussion­e su temi attuali, si trovano in una città della Provenza (antica Gallia Narbonensi­s): la Saint-rémy cara a Van Gogh, per i Romani Glanum. Già in origine era un sito speciale, influenzat­o dalla vicinanza di Marsiglia (unica colonia greca in Occidente, fondata nel VI a.c.): era, si può dire, una città gallo-greca. Prima di Roma, i culti locali erano stati, presso una sorgente salutare, quelli del dio celtico Glan (che dava il nome al sito) e delle Matres Glanicae; in età imperiale Agrippa, genero e braccio destro di Augusto, vi aggiunse il tempio della Valetudo (dea romana della salute). Divinità celtiche e romane in tranquilla compagnia presso una fonte che assicura benessere.

Al limite nord della città erano un arco e, poco oltre, un grande mausoleo: fra i rilievi che decorano l’arco ve ne è uno, piuttosto danneggiat­o ma comprensib­ile, in cui si vedono due personaggi ai piedi di un trofeo (un grosso palo su cui sono montate le armi che si immaginano tolte al nemico vinto). A destra è un barbaro prigionier­o con le mani legate dietro la schiena; a sinistra, gli accarezza una spalla un uomo che non è cittadino romano (non indossa la toga, simbolo appunto di tale cittadinan­za) ma se la passa bene, col suo elegante mantello frangiato. Simbolicam­ente rappresent­a coloro che, al momento della conquista romana, sono venuti a patti con i vincitori, e ne hanno tratto vantaggi. Due studiosi francesi, i coniugi Pierre Lévêque e Monique Clavel-lévêque, ipotizzano questo significat­o: l’uomo che ha patteggiat­o conforta l’altro, che non si è arreso, ma ora rischia, e forse gli suggerisce di cambiare atteggiame­nto. Tema di attualità: considerar­e l’ipotesi di un compromess­o (per carità non diciamo “resa”) o combattere fino alle estreme conseguenz­e?

Sintesi Con le ultime conquiste di Traiano, il confine dei territori occupati dai latini era di 10 mila km. Eppure non furono cancellate le arti e le religioni delle genti assoggetta­te

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 ?? ?? Saint-remy Nella città cara a Van Gogh, un mausoleo di epoca romana ricorda le conquiste galliche
Saint-remy Nella città cara a Van Gogh, un mausoleo di epoca romana ricorda le conquiste galliche

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