.IL DISASTRO DI MELFI. . IN MORTE DELL’AUTO.
Negli ultimi quattro mesi ho visitato due volte Melfi e ho trovato un vero e proprio disastro, un declino annunciato dell’industria automobilistica di quell’area, con lavoratori in cassa integrazione, esuberi, costrizione verso dimissioni volontarie e minacce di delocalizzazione da parte della proprietà, Stellantis.
La crisi dello stabilimento di Melfi, che appartiene al gruppo Stellantis, fino a poco tempo fa ex Fiat, è una crisi che ha radici nel declino industriale italiano e nell’assenza di politiche industriali verso quella che è nota come transizione verso l’industria 5.0 e verso la produzione di auto elettriche in particolare. Questa crisi soffre anche dell’assenza totale da parte del governo regionale lucano e del governo nazionale in carica, che non sono capaci di offrire una idea su cosa si possa fare per salvare l’industria dell’auto di Melfi, che è stata considerata in passato la fabbrica più produttiva di Fiat. L’unica alternativa che è stata data ai lavoratori, con un accordo molto divisivo tra le parti sociali, è stata una indennità per accettare il licenziamento, sulla base dell’età. Accordo che non è stato firmato solo da Fiom-cgil. L’accordo prevede non un incentivo al pensionamento, per lavoratori vicini alla pensione, con la condizione per l’azienda di un rimpiazzo generazionale e nuove assunzioni, che salverebbe l’azienda e rilancerebbe l’occupazione in questa area, ma solo un pagamento per l’accettazione da parte dei lavoratori, anche giovani, di dimissioni volontarie. Un ricatto travestito da indennizzo che penalizza soprattutto l’economia regionale.
LA CONSEGUENZA
immediata di questa politica, infatti, sarebbe la desertificazione industriale di un territorio, la fine del lavoro per circa 5.000 lavoratori che qui non avrebbero altre alternative che aprire bar o pizzerie, e la morte di un indotto che raggiunge circa 15 mila lavoratori con altrettante famiglie. Inoltre, questa desertificazione sarebbe accompagnata da un ulteriore spopolamento, già in corso in Basilicata come al Sud, e dalla fuga di migliaia di giovani al Nord e all’estero.
Questa situazione presagisce una delocalizzazione di investimenti da parte dell’azienda, da Melfi verso nuovi Paesi a più basso costo del lavoro, probabilmente il Marocco, dove già ci sono altre produzioni che fanno capo a Peugeot del gruppo Stellantis. Una situazione che oltre a essere dannosa per la Basilicata e l’italia, ha in sé un sapore di beffa considerando che Melfi è stata considerata in passato un modello da seguire, con la più alta produttività (1.300 veicoli al giorno in produzione per un totale di oltre 5 milioni di veicoli). Non solo. L’insediamento a Melfi fu realizzato con soldi pubblici, agli inizi degli anni 90, grazie a quel che rimaneva della Cassa del Mezzogiorno, uno strumento che ha permesso, principalmente tra gli anni Sessanta e Settanta, i pochi investimenti industriali nel Sud. La Cassa fu sostanzialmente abolita negli anni Ottanta, in modo irrazionale a propagandistico, in seguito ad attacchi politici e mediatici che parlavano, senza fondamento sostanziale, di sprechi a ogni livello, e che ricordano tanto gli attacchi mediatici e politici che hanno preceduto l’abolizione del Reddito di cittadinanza. Una abolizione immotivata, basterebbe solo pensare che durante il periodo in cui la Cassa del Mezzogiorno ha realizzato gli investimenti, per la prima e unica volta nella storia italiana dall’unità in poi, i tassi di crescita delle regioni del Sud Italia sono stati maggiori dei tassi di crescita delle regioni del Centro Nord.
Oggi a Melfi la produzione è già dimezzata e si fa uso continuo di cassa integrazione. Stellantis ha già avuto circa 9,7 milioni di ore di cassa integrazione straordinaria autorizzate nel 2022-2023, con un costo stimato di 102 milioni di euro, per 6225 lavoratori. Ha avuto anche, per il 2023-2024, 9,6 milioni di ore circa di cassa integrazione straordinaria con causale “contratti di solidarietà” per un costo stimato di 106 milioni di euro per 5780 lavoratori. Come ha scritto Antonella Gravinese, riprendendo i dati del centro studi Ires della Cgil, se Stellantis dismettesse lo stabilimento di Melfi, avremmo una riduzione del Pil lucano del 7%. L’export regionale si ridurrebbe di due terzi e l’occupazione regionale si ridurrebbe del 7,5%, con una perdita di oltre 14 mila addetti. La chiusura dell’azienda automobilistica di Melfi contribuirebbe a un calo ulteriore, a livello nazionale, della quota della manifattura in Italia, e causerebbe il crollo della quota manifatturiera in Basilicata sul Pil regionale, dal 12% al 5%. Riduzione che sarebbe al massimo compensata con un aumento, eventualmente, di occupazione nel solito settore dei servizi a basso contenuto tecnologico, bar e ristoranti ad esempio, con più bassa produttività e più bassi salari.
QUESTO NEGATIVO PROCESSO succede in molte altre parti d’italia, abbandonati dal governo alla desertificazione industriale, alla terziarizzazione dell’economia pervasa da servizi a basso contenuto tecnologico, turismo in particolare. Nel 2023 la produzione industriale ha subito un drastico calo del 2,5%. Solo per inquadrare bene il problema: a metà anni 90 il numero di veicoli prodotti in Italia era di circa 1,8 milioni all’anno. Oggi è di circa 900 mila, calato di circa il 50%.
Succede ad esempio anche per l’azienda ex-gkn, nello stesso settore automotive, abbandonato alla cassa integrazione e alla chiusura degli impianti, senza una idea, che sia una, di rilancio di quelle necessarie politiche industriali atte a salvare l’industria dell’automotive in Italia, che sta sprofondando verso percentuali infime.
L’ex azienda Gkn ha avuto nel 2022, 573 mila ore di cassa integrazione autorizzate, con un costo stimato di oltre 6 milioni di euro, per 368 lavoratori, mentre nel 2023, le ore autorizzate sono state 885 mila, per 330 lavoratori, con un costo stimato di oltre 9 milioni di euro. Lavoratori che stanno cercando di salvare l’azienda evitando la delocalizzazione attraverso la costituzione di una cooperativa tra loro. Un esperimento molto positivo che dovrebbe essere incoraggiato dal governo, con fondi di investimento pubblici, all’interno di un quadro di sviluppo industriale diverso, utilizzando ad esempio il partenariato pubblico-privato previsto da una norma in vigore dalla scorsa legislatura, invece di prevedere l’estinzione dopo aver sostenuto la spesa per la cassa integrazione.
UNA CRISI ANNUNCIATA Quella che è stata la fabbrica italiana più produttiva è ora il simbolo del declino industriale italiano. Non ci sono interventi ma solo cassa integrazione, esuberi e dimissioni volontarie