L’ultima corsa di Zambuto, genero di tutti
Figlio d’arte e genero di viceré, nel sangue di Marco Zambuto scorre la politica gattopardesca, quella fatta di strette di mano e amicizie per restare in sella alle poltrone del potere, che oggi lo spinge tra le braccia di Matteo Renzi in vista delle Europee.
Zambuto è un globe trotter della politica e ha girato un po’ tutti i partiti durante la sua carriera. Con la balena bianca della Dc, negli anni ’90, conquistò il primo scranno nel consiglio comunale di Agrigento. Una passione democristiana ereditata dal padre Calogero, che era stato sindaco della città dei templi, e condivisa con i suoceri: prima l’ex deputato nazionale e regionale Angelo La Russa e oggi l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro.
Dopo lo sfaldamento dello scudo crociato, Zambuto passa con il Cdu, poi si sposta nell’udc, da seprovinciale. Infine abbandona l’incarico per la corsa da sindaco con il sostegno di Udeur e Ds. Viene eletto primo cittadino di Agrigento due volte consecutive, dal 2007 al 2014, ma l’esperienza si interrompe bruscamente a giugno dello stesso anno, quando si dimette dopo la condanna in rito abbreviato a due mesi e venti giorni per abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, il sindaco avrebbe conferito incarichi irregolari alla presidenza della fondazione teatro “Luigi Pirandello”. Sarà assolto in appello. Finirà per altre due volte davanti ai giudici. Assolto in udienza preliminare perché “il fatto non sussiste” (2014) dall’accusa di crollo colposo, per il cedimento di Palazzo Lo Jacono-maraventano. Mentre è archiviata l’accusa (2017), condivisa con l’ex suocero La Russa, di falso, corruzione e turbativa d’asta per alcuni piani costruttivi del piano regolatore cittadino.
Negli anni da sindaco si sposta da una parte all’altra dello spettro politico. Dall’udeur passa al Pdl di Silvio Berlusconi, per poi tornare all’udc di Casini. Infine la folgorazione: durante il viaggio nell’isola del “rottamatore” Matteo Renzi, Zambuto decide di accasarsi al Pd. Con i dem ottiene l’elezione alla presidenza regionale del partito e la candidatura alle Europee del 2014. Nonostante le oltre 65 mila preferenze non viene eletto.
A MARZO
dell’anno successivo Zambuto è travolto dalle polemiche per la visita a Palazzo Grazioli alla corte di Berlusconi, accompagnato dal deputato azzurro Riccardo Gallo Afflitto, all’epoca vicecoordinatore di Forza Italia in Sicilia e molto vicino a Marcello Dell’utri. Si difende spiegando di averlo fatto “per un amico”, per “una vicenda personale”, ma non basta. Perde la presidenza del Pd sigretario ciliano, ma resta nel partito fino al 2019. Quindi il nuovo ritorno con i forzisti, e il terzo tentativo (stavolta a vuoto) di aggiudicarsi la fascia tricolore della sua città.
Resta a spasso per qualche anno, finché il viceré forzista Gianfranco Miccichè lo indica per il rimpastato della giunta di Nello Musumeci: l’ennesima vita politica di Zambuto è da assessore regionale alle autonomie locali da gennaio 2021 a ottobre 2022. Persa l’ultima poltrona, non viene dimenticato dagli amici di partito, anzi. Gallo, lo stesso che l’aveva accompagnato dal “Caimano”, lo chiama nel suo staff come addetto di segreteria. Un incarico da 4 mila euro lordi da gennaio 2023 ad agosto dello stesso anno.
Ora l’ultima giravolta. Pur essendo ancora formalmente in Forza Italia, potrebbe tornare a correre con i renziani per le Europee, sostenuto dal suocero Cuffaro.