MAFIA NEI COMUNI, LA DE
Dopo la missione di Piantedosi contro Decaro, il governo studia come ridurre i commissariamenti Calderoli: “Troppa discrezionalità” Ferro: “Più controlli”
“Colpita” Bari, ora...
Ordinanze d’arresto lette (e mostrate) in diretta televisiva nonostante il “bavaglio” Costa. Foto, girate ai giornali amici, che ritraggono il sindaco rivale abbracciato a donne incensurate, ma con cognomi “scomodi”. E addirittura richieste di “scioglimento immediato” di un comune che conta oltre 300mila abitanti. La vicenda delle presunte infiltrazioni mafiose nel comune di Bari ha mandato letteralmente in tilt l’auto narrazione “iper garantista” della destra, che alla prima occasione ha ceduto quasi in blocco alla tentazione di “bastonare” l’altra parte politica utilizzando le inchieste giudiziarie. Un corto circuito che non ha impedito alla coalizione di governo di avviare un dibattito interno sulla modifica delle norme che regolano lo scioglimento dei comuni. Il tema, seppur ancora sotto traccia, è caldo. E il caso Bari ha riacceso gli animi.
Un passo indietro. Il 19 marzo scorso il Ministero dell’interno ha nominato una commissione d’accesso da inviare nel capoluogo pugliese. Un’inchiesta della Procura cittadina, infatti, aveva rivelato gli affari dei clan nell’amtab, la municipalizzata dei trasporti barese. In manette sono finite 130 persone, tra cui una consigliera comunale eletta con il centrodestra ma poi, durante la legislatura, passata in maggioranza con il sindaco del Pd, Antonio Decaro, da anni sotto scorta, minacciato dagli stessi clan che, per i pm, avrebbero permeato parti del suo comune. “È un attacco politico”, ha tuonato Decaro in un’appassionata conferenza stampa. “Un atto dovuto, nessun pregiudizio verso il sindaco”, si è difeso il ministro Matteo Piantedosi, che per la prima volta ha dato personalmente l’input alla Prefettura di “indagare” sulla necessità di inviare gli ispettori in città.
LA VICENDA ha aperto vecchie ferite nel centrodestra. Tanto che si è tornati a parlare di modifiche al Tuel, il Testo unico degli Enti locali che norma l’ispezione e lo scioglimento dei comuni per mafia. Ad aprire le danze è stato Roberto Calderoli. “Ho detto a Piantedosi di stralciare la norma contenuta nel Tuel”, aveva dichiarato il ministro per gli Affari regionali il 24 marzo scorso. Secondo il leghista, “la discrezionalità che si lascia a questa parte è un po’ eccessiva, ci vorrebbero delle regole più chiare”. D’altronde la Lega aveva già avanzato una proposta in passato di limitare le iniziative del Viminale a un numero minimo di consiglieri comunali “coinvolti” nelle inchieste per mafia. Ma Calderoli sostanzia anche un’indicazione già emersa a fine 2022, in uno dei primi Consigli dei ministri a guida Giorgia Meloni, quando la decisione di Piantedosi di sciogliere i comuni romani “amici” della destra, Anzio e Nettuno, aveva provocato non pochi malumori nei big dell’esecutivo. “Così danneggiamo il turismo”, erano arrivati ad affermare Francesco Lollobrigida e Guido Crosetto, notando che Nettuno, in particolare, veniva sciolto per la seconda volta in meno di 20 anni.
C’è però un’altra corrente di pensiero nel governo che non vuole un alleggerimento delle norme. E nelle sue fila milita la sottosegretaria all’interno, Wanda Ferro, di Fratelli d’italia, che al Viminale ha la delega sulla criminalità organizzata e dovrà occuparsi dell’eventuale riforma. “Non si può pensare, è bene che sia chiaro – ha scritto su Facebook il 25 marzo – che il governo e in particolare il Viminale possano immaginare una qualsivoglia riforma attenui la capacità di intervento dello Stato in contesti che lasciano intravedere inquietanti commistioni tra esponenti della criminalità e amministratori locali”. Un passaggio importante che, nell’aprire a un dibattito parlamentare tra “le varie forze politiche”, pone paletti e apre scenari futuri.
QUALI? Alcune bozze di modifica al Tuel, seppur in fase embrionale, sono già sul tavolo dei futuri relatori. L’obiettivo, a quanto risulta al Fatto, è quello di creare dei criteri portino a diminuire il varo delle commissioni d’accesso nei comuni e quindi allo scioglimento. Dall’altra parte, però, si cercherà di accrescere i poteri degli ispettori. Come? I commissari – è l’intenzione – potranno deliberare la rimozione di singoli dirigenti; ordinare lo “scioglimento” di singoli dipartimenti o singole aziende (a Bari è possibile che si arrivi a commissariare solo la società dei trasporti); oppure affiancare il sindaco o gli amministratori per un periodo di 12-18 mesi senza necessariamente passare dallo scioglimento del Consiglio comunale, in una sorta di operazione di “tutoraggio”.
Il braccio di ferro sull’argomento è appena iniziato. D’altronde, che vi siano dei limiti nella normativa attuale lo sottolineano anche associazioni che promuovono la cultura della legalità. Tra queste “Avviso Pubblico” – con cui collabora proprio Decaro – che in un recente rapporto ha osservato ben sette criticità. Innanzitutto
“i reiterati scioglimenti di un medesimo ente”, il “frequente condizionamento da parte delle organizzazioni criminali del personale dipendente dell’ente disciolto” e la “permanenza dei rapporti contrattuali inquinati, instaurati prima dello scioglimento, anche durante la gestione della Commissione straordinari”. Non solo. “La cittadinanza – indica il rapporto – vive lo scioglimento come una ‘punizione’ e non come una forma di tutela”, mentre sulle “attività di risanamento condotte dalle Commissioni straordinarie” arrivano “scarse informazioni”. Il tutto per dire che esiste “la necessità di individuare una possibile ‘terza via’ fra scioglimento e archiviazione”.
PER CAPIRE meglio il fenomeno, vale la pena elencare alcuni numeri, elaborati anche in questo caso da Avviso Pubblico. Dal 1991 (anno di introduzione della norma sul commissariamento degli enti) sono stati varati dai governi ben 387 decreti di scioglimento, di cui 113 soltanto dal 2016 a oggi (il governo Meloni ha già sciolto 17 comuni). Ben 57 di questi consigli comunali sono stati sciolti 2 volte, 19 sono stati commissariati 3 volte mentre c’è un solo comune, Marano (in provincia di Napoli) che ha subito la mannaia di Palazzo Chigi addirittura 4 volte. Esiste, in generale, una maggiore attenzione dei commissari al Sud, con il 95% degli scioglimenti che si concentra in Puglia, calabria, Campania e Sicilia. “In quasi tutte le relazioni analizzate – si legge nel report di Avviso Pubblico – emerge il coinvolgimento, a vario titolo, dei clan mafiosi nelle campagne elettorali: un’attenzione finalizzata ad ottenere o consolidare i rapporti con le future Amministrazioni nell’ottica di assicurarsi vantaggi di natura economica”. Non solo. “Un primo tratto distintivo, che agevola l’infiltrazione delle mafie, è costituito dal generale disordine amministrativo”, mentre “in tutti i casi di scioglimento analizzati emerge una carenza sul piano dei controlli e delle verifiche antimafia a cui ogni amministrazione è tenuta”.