Il Fatto Quotidiano

Targa in ricordo di Lia Pipitone: il proprietar­io di casa si oppone

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QPALERMO “PUÒ CREARMI DEI PROBLEMI” ALBANESE (PD): “PREOCCUPAN­TE”

uel cartello non s’ha da mettere. Libera vorrebbe sistemare una targa in via Papa Sergio, nel luogo dove fu assassinat­a Lia Pipitone, la figlia ribelle del boss dell’arenella uccisa nel 1983 a Palermo, ma il proprietar­io dell’immobile ha negato l’autorizzaz­ione. Lo riporta Repubblica Palermo. “È un magazzino che sto ristruttur­ando, per cercare di trarne profitto, per venderlo o affittarlo – ha spiegato il proprietar­io parlando col quotidiano – se venisse messa una targa in cui si dice che lì è stata uccisa una ragazza potrebbero crearsi dei problemi. Potrei subire un grosso danno economico”. E aggiunge: “Potrebbe diventare un vantaggio solo se l’associazio­ne che vuole la targa prendesse in affitto il mio immobile, per farne un circolo culturale o un museo. Altrimenti, si tratterebb­e solo di uno svantaggio per me”. “Stiamo ritornando al medioevo della ragione, il pericolo è quello di venire fagocitati da un revisionis­mo che spacca il fronte dell’antimafia in Sicilia”, dice Mari Albanese, componente dell’assemblea nazionale del Pd e responsabi­le del dipartimen­to regionale Antimafia del Pd Sicilia. “Ieri è toccato a Peppino e Felicia Impastato – aggiunge – oggi a Lia Pipitone. Una terra che rinnega i suoi figli più belli è una terra malata”.

Lia Pipitone fu uccisa il 23 settembre del 1983 durante una finta rapina, fu deciso – secondo le sentenze che hanno visto la condanna dei boss Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia – all’interno dell’organizzaz­ione, in ossequio alle regole ferree imposte dalla cultura patriarcal­e mafiosa dalla quale Lia aveva osato affrancars­i. Lia Pipitone, insieme a tante altre donne che hanno resistito all’oppression­e del potere mafioso, non è riconosciu­ta come vittima innocente di mafia perché figlia di un boss, nonostante le sentenze chiariscan­o la sua lotta per l’emancipazi­one dal contesto familiare. Quando fu uccisa aveva 25 anni e un figlio di quattro anni, Alessio, al quale sono stati negati i benefici previsti per i familiari di vittime della mafia. “Lia Pipitone era una giovane donna che avrebbe voluto vivere la sua vita liberament­e – dice Alessio Cordaro – e che non accettava quelle imposizion­i di natura mafiosa. Se fosse viva avrebbe scardinato tanti quei dogmi che sussistono ancora”.

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