Gaza, il mondo salvato dai ragazzini
“ESISTONO SOLO DUE FUTURI: loro o non esistiamo più noi”.
non esistono più DAL FILM “I BAMBINI DI GAZA SULLE ONDE DELLA LIBERTÀ”
MA CI SONO ANCORA BAMBINI a Gaza? È la domanda che ci afferra alla gola dopo la visione della storia (tratta da un racconto di Nicoletta Bortolotti pubblicato da Mondadori) che Loris Lai ha finito di girare e montare pochi giorni prima del 7 ottobre. Dell’apocalisse generata dalle mostruosità di Hamas che ha spazzato via anche quel briciolo di speranza che nel film ha il sapore amaro e intenso del timo. Grazie al quale l’undicenne Mahmud raggranella qualche spicciolo da portare alla giovane mamma Farah, vedova di un “martire” della resistenza. Perché “I bambini di Gaza” è, innanzitutto, un documento duro, autentico, spiazzante di come si viveva, e si sopravviveva, “prima”. Quando – siamo nel 2003, mentre infuria la seconda intifada – tra la violenza kamikaze della Jihad e i furiosi bombardamenti israeliani, in una città devastata da un conflitto infinito che fa strage dei civili, Mahmud e Alon, suo coetaneo figlio di una coppia di ebrei, scoprono la passione comune per la tavola da surf. E cavalcano sulle onde gigantesche che, se non si guarda il retroterra butterato dalle esplosioni, potrebbero sembrare quelle della California. Finalmente felici, poiché “sulla terra sembra di essere in prigione, ma in acqua non ci sono più confini”. Ebbene, immersi come siamo nel panico delle guerre e delle stragi che bussano sempre più insistenti alla nostra porta di privilegiati, ci scopriamo a desiderare il ritorno a quell’orrendo male minore. Tanto che in molti abbiamo perfino provato sollievo quando è stato l’isis a rivendicare la carneficina del teatro a Mosca, anche se Putin non ha per questo rinunciato ai suoi propositi di vendetta sull’ucraina e sull’europa intera. Consapevoli che davanti alle immagini della Striscia ridotta a un cratere di fame e disperazione non si potrà più tornare a vent’anni fa, o soltanto a sei mesi fa. Quando, tra le macerie e nella polvere, c’erano ancora ragazzi che inseguivano un pallone o sognavano un futuro di surfisti nella luce che risplende tra le onde. Che immaginavano di essere un giorno come Dan, il giovane campione straniero che insegna loro a stare in equilibrio, anche su quella parvenza di umanità. E, dunque, nel domandarci chi sia rimasto vivo in quel pianeta così lontano e così vicino, dove il 43 per cento della popolazione ha meno di 14 anni, non resta che aggrapparci alla lettera che Papa Francesco ha inviato a Elda Ferri, che ha prodotto la pellicola (girata in Tunisia) insieme a Tarak Ben Ammar: “Questo film con le voci piene di speranza dei bambini palestinesi e israeliani sarà un grande contributo alla formazione nella fraternità, l’amicizia sociale e la pace”. Davvero difficile sperarlo in questo momento, ma dobbiamo. Perché non vorremmo mai che “Il mondo salvato dai ragazzini”, che ispirò Elsa Morante, si trasformasse in un mondo che quella salvezza la stermina.