Omicidio di Pasquetta: nella Bari al voto, i clan ricominciano a sparare
Sangue Ucciso con 4 colpi di revolver un nipote dei Capriati, la famiglia criminale protagonista della “gaffe” di Emiliano
Un Capriati morto ammazzato la sera di Pasquetta. Quattro colpi di revolver e poi via, i killer che fuggono in moto, mentre Lello resta nella sua auto con in testa tre proiettili. A 39 anni la sua vita finisce mentre entra nel pronto soccorso di un ospedale. In fondo, purtroppo, finisce come ampiamente previsto dalle leggi non scritte dei clan. E se la sua storia oggi è sulle prime pagine dei giornali non è merito del suo carisma criminale. La sua morte sarebbe stata relegata alla cronaca nera dei giornali locali, come quella che nel 2018 raccontò l’omicidio di suo fratello Domenico, ucciso nel rione Japigia dinanzi a sua moglie e sua figlia. Ma questa volta è diverso.
IL CLAN CAPRIATI diventa famoso in tutta Italia grazie a una strepitosa gaffedel governatore Michele Emiliano che racconta di aver “affidato” il sindaco Antonio Decaro – ormai 18 anni fa, quando era assessore – a una donna del clan (una zia di Lello ucciso l’altroieri). Emiliano intendeva dire tutt’altro (peraltro dinanzi a una piazza di 10 mila persone che protestavano contro il Viminale per l’iter, ritenuto strumentale a fini politici, che potrebbe sciogliere il comune per infiltrazione mafiosa). Il giorno dopo viene pubblicata la foto del sindaco Antonio Decaro insieme con una sorella del boss Antonio Capriati, ovvero un’altra zia (incensurata) di Lello.
Il destino di Lello sembra scritto nella sceneggiatura di una fiction: ucciso proprio quando in Comune s’è appena insediata la commissione inviata dal Viminale, a poche ore dalle primarie nel centrosinistra (che si terranno domenica), a meno di tre mesi dalle elezioni che sceglieranno il futuro sindaco. Con una campagna elettorale che – lo si è già visto – si giocherà proprio sulla presenza della mafia a Bari. E adesso, su questo scenario, il timore che, a partire dal suo omicidio, inizi una guerra di mafia.
Che Lello Capriati sia morto in un regolamento di conti tra clan è fuori dubbio. La mafia a Bari c’è. E non si crea problemi a uccidere tra le gente. Se questo sia poi l’inizio di una nuova guerra di mafia è presto per dirlo. Lello Capriati era stato scarcerato nell’agosto 2022, dopo una condanna a 17 anni per aver concorso all’omicidio di Michele Fazio, il 16enne ammazzato per errore, nel 2001, durante la faida tra i Capriati e gli Strisciuglio. Due settimane dopo che il clan Strisciuglio aveva ucciso il 24enne Francesco Capriati, anch’egli nipote del boss Antonio. Lello non avevaancora vent’anni e stava cercando vendetta. Michele Fazio non c’entrava nulla con quella faida ma per errore fu centrato dai colpi di sparati da Leonardo Ungredda (che a sua volta fu ucciso nel 2003). Lunedì è toccato a “Lello” Capriati finire sotto i colpi di una pistola, ma quella faida, a quanto pare, è ormai sepolta da tempo. Gli equilibri sono cambiati. Ed è proprio questo il punto.
I CAPRIATI sono stati decimati dai processi. Alla spicciolata escono dalle carceri. E forse provano a tornare nel giro della mala che conta. “L’omicidio di Raffaele – spiega un investigatore – sembra legato alla gestione di una piazza di spaccio.
Qualcuno non ha gradito il loro rientro”.
Lo scenario, se la tesi dell’investigatore fosse esatta, è quindi quello di un clan che tenta di riprendersi il suo quarto di nobiltà. All’interno di equilibri però molto precari e molto diversi rispetto a vent’anni fa.
Nell’estate 2022, quando Lello tornò a casa dopo il carcere, a Bari Vecchia si spararono fuochi d’artificio. Il tutto a pochi passi dall’abitazione di Pinuccio e Lella Fazio, i genitori di Michele. Neanche due anni dopo quella festa è Lello a morire in un agguato. Segno che 23 anni dopo l’omicidio del piccolo Michele, all’interno dei clan, poco o niente è cambiato. I cognomi sono sempre gli stessi. E ancora una volta può partire una guerra di mafia. Che oggi può avere un’attenzione e un peso molto particolare. Perché la presenza della mafia a Bari non è più soltanto una questione di ordine pubblico. È anche il territorio di una vera e propria campagna elettorale.
Il prefetto ha convocato per giovedì prossimo la riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza. Il sindaco Antonio Decaro ha commentato: “La città non può vivere nel terrore dell’attesa di un regolamento di conti tra clan. È importante agire subito per bloccare qualsiasi potenziale recrudescenza”.
Viminale L’ipotesi di liti per spaccio, la paura di una nuova faida Appena insediata la commissione di accesso per lo scioglimento
ri, e deve essere secondo. Poi Lucia Annunziata, giornalista di grande popolarità. E poi? “Poi forse io, ma metto il forse perché sono rispettoso della gerarchia e accetto le decisioni”, dice Topo. Lello è un facilitatore di consorzi, un raccoglitore di assemblee Asl. Ma se c’è Topo, il pensiero illuminato e borghese dei volti che dovrebbero far bello e soprattutto di sinistra il Pd, dove va a finire? Marco Tarquinio, l’ex direttore di Avvenire, chiamato a dare peso all’anima pacifista e cattolica è sotto il fuoco incrociato dell’opposizione interna, la corrente di Bonaccini, il presidente del partito. Tarquinio sarebbe stato dichiarato non gradito in Toscana. Nel caso, dal centro Italia emigrerebbe – per trovare ruolo e vigore – verso sud, ma qui appunto c’è l’onorevole Topo.
Il Pd veleggia intorno al 20 per cento nella media nazionale, al Sud scende al 17 e con questa percentuale sono solo quattro le candidature vincenti.
Schlein è la segretaria e dev’essere votata da tutti, poi c’è il sindaco di Bari che è un’altra presenza a forte intensità di voti. E siamo a due. E Lucia Annunziata? Riceverà l’aiuto del partito ma anche il sostegno del presidente della Campania De Luca che con lei ha un’antica amicizia e soprattutto un sentimento di affetto che ha nutrito verso il papà di Lucia, tesoriere della federazione del Pci di Salerno al tempo in cui proprio De Luca ne era segretario. E siamo a tre.
IL QUARTO
dovrebbe essere, mannaggia, proprio Topo, ma se è lui non c’è Tarquinio. E allora la Toscana dovrebbe accoglierlo, sciogliendo la riserva. Se la Toscana si impunta e lo fa emigrare? E se emigra, e ammesso Schlein scelga poi di rinunciare al seggio, ci sarebbe Pina Picierno, eurodeputata uscente e vicepresidente del Parlamento, da sistemare. E qui di nuovo siamo al punto: e Topo?