Il cessate il fuoco è un dovere: l’ue tratti Israele come Mosca
Il 25 marzo, dopo 170 giorni durante i quali Israele ha messo a ferro e a fuoco la Striscia di Gaza, provocando sofferenze inenarrabili alla popolazione, finalmente il Consiglio di sicurezza dell’onu ha adottato una Risoluzione (n. 2728) che chiede un immediato cessate il fuoco “per la durata del mese di Ramadan, che porti a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile”, così come il ritorno in libertà immediato e senza condizioni degli ostaggi e un maggiore accesso degli aiuti umanitari. “Non c’è un momento da perdere – ha scritto la segretaria generale di Amnesty International, Agnés Callamard – le autorità israeliane devono fermare immediatamente la loro brutale campagna di bombardamenti su Gaza e facilitare l’ingresso degli aiuti umanitari. Israele, Hamas e gli altri gruppi armati devono operare perché il cessate il fuoco duri. Gli ostaggi civili devono tornare immediatamente in libertà. Tutti i palestinesi arbitrariamente detenuti in Israele, compresi i civili arrestati a Gaza, devono essere scarcerati”. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono immediatamente esecutive e vincolanti per tutti gli Stati, eccetto – evidentemente – Israele, che non accetta alcun vincolo fondato sulle regole del diritto. Infatti Netanyahu non ha battuto ciglio e ha celebrato le prime 24 ore di
“cessate il fuoco” con bombardamenti che hanno provocato 76 morti. E ha continuato l’attacco agli ospedali: il 28 marzo l’esercito ha comunicato di aver ucciso 200 persone in una settimana di operazioni dentro e attorno all’ospedale di al Shifa. Ovviamente tutti “terroristi”: medici, pazienti, personale sanitario e giornalisti. Malgrado i moniti degli stessi alleati, Israele continua i preparativi per l’assalto finale a
Rafah, l’ultima città al confine con l’egitto, dove sono concentrati un milione e mezzo di palestinesi sfollati dal centro e dal nord di Gaza. E così via fino alla strage dei sette operatori umanitari.
Il rigetto dell’ordine di cessate il fuoco del Consiglio di Sicurezza e il rifiuto – nei fatti – di adempiere alle misure dettate dalla Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio pongono Israele in una condizione veramente singolare nell’ordinamento internazionale: lo Stato che realizza (e rivendica) la massima ribellione possibile alle regole che governano la comunità internazionale.
Eppure tutti gli Stati occidentali si sono mobilitati per “punire” la Russia con le sanzioni e la fornitura di armi e risorse di intelligence all’ucraina, nell’adempimento di un imperativo indiscutibile: quello che Stoltenberg “Stranamore” ha definito “un mondo fondato sulle regole.” Che fine fa il “mondo fondato sulle regole”, che giustifica la guerra da remoto contro la Russia col sangue degli ucraini, quando Israele si ribella alle regole fondanti della comunità internazionale? Se Israele non si sente vincolato al diritto internazionale, avendo sperimentato almeno 56 anni di violazione delle sue regole senza conseguenze, gli altri Stati devono agire con misure adeguate, ai sensi del Cap. VII della Carta Onu, per convincere/costringere Netanyahu a rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e il provvedimento della Corte internazionale che ha ordinato a Israele di smettere di uccidere le persone protette e di far patire la fame al gruppo palestinese con rischi di genocidio.
L’unione europea ha adottato una caterva di sanzioni a danno della Russia per la violazione delle regole. In un documento del Parlamento europeo si rinfaccia a Mosca di aver provocato la morte di 520 minori ucraini: il fatto che Israele, in soli cinque mesi di guerra, abbia provocato la morte di 13 mila minori a Gaza non ha provocato alcun turbamento nelle bronzee facce dei leader politici italiani ed europei, mentre un silenzio di tomba è caduto di fronte all’aperta ribellione di Israele all’ordine di cessate il fuoco. È il momento di agire: l’unione europea e tutti i suoi Stati membri devono deliberare misure urgenti per far valere l’obbligo di fermare i massacri. Il silenzio ci rende complici.
CARA EUROPA LE VITTIME DEGLI ATTACCHI AI CIVILI A GAZA DEVONO VALERE COME QUELLE IN UCRAINA