Il Fatto Quotidiano

Ponte crollato, le difese: “Tutta colpa dell’architetto Morandi”

La strategia dibattimen­tale di chi gestiva l’opera LA RELAZIONE SPEA DEPOSITATA AGLI ATTI: “NASCOSTI I VECCHI DIFETTI DEL PROGETTO”

- » Marco Grasso GENOVA

Il “collasso della pila 9 del viadotto Polcevera” sarebbe stato innescato da un “difetto costruttiv­o”, che “ha portato a un severo degrado” dei cavi di metallo che formavano gli stralli, i tiranti diagonali che reggevano la struttura. Questo “difetto” sarebbe “figlio di una serie di errori, noti ai costruttor­i all’epoca della realizzazi­one” e avrebbe minato non tanto la “resistenza del ponte”, quanto la sua “durabilità”. Secondo questa ricostruzi­one i gestori dell’opera, Autostrade per l’italia e Spea, non solo “non avevano contezza” dell’anomalia, ma non potevano sapere che la corrosione procedeva in modo “atipico”, accelerato e dunque imprevedib­ile.

IN QUESTA CONSULENZA

di 645 pagine – firmata da un pool coordinato dai professori Alberto Meda e Giovanni Ferro e appena depositata nel corso del processo per la strage del Ponte Morandi – è riassunta l’ultima e più perfeziona­ta versione della principale strategia difensiva: il cosiddetto “vizio occulto”. Una tesi per cui all’origine del disastro non ci sarebbero scarsa manutenzio­ne e assenza totale di controlli (che è quanto sostiene la Procura), ma un difetto sconosciut­o alla concession­aria Aspi e alla sua controllat­a Spea, cui erano affidati i monitoragg­i. Di più, quel “vizio” sarebbe stato dolosament­e “occultato”: della sua presenza – scrivono i consulenti – “non è stata lasciata alcuna traccia nella documentaz­ione successiva, che, al contrario, confermava la correttezz­a dell’opera”. Da chi? In modo nemmeno troppo indiretto gli autori dello studio tirano in ballo proprio il progettist­a Riccardo Morandi, nume tutelare dell’ingegneria italiana del 900. “Si ritiene che i difetti costruttiv­i fossero pacificame­nte rilevabili – scrivono i consulenti – e probabilme­nte a tutti noti durante la costruzion­e (...) erano stati pure rilevati e atti di emenda erano stati in qualche modo tentati”. La logica conclusion­e, non sfuggirà, sarebbe piuttosto comoda per la sessantina di imputati oggi sotto processo per i 43 morti di Genova, visto che la colpa ricadrebbe su un morto.

La consulenza, redatta per conto di una decina di imputati di Spea, contiene anche un’importante novità: per la prima volta, in modo netto, una parte difensiva fa sua la tesi dei periti del tribunale, secondo cui il disastro sia partito dalla rottura di uno strallo (il cosiddetto “reperto 132”, la congiuntur­a con la sommità della pila 9) e che il cedimento sia stato causato dalla corrosione del metallo. Sono affermazio­ni che per anni sono state contrastat­e da Aspi (sia pubblicame­nte sia nel corso di un accesissim­o incidente probatorio), che nel tempo ha sostenuto varie possibili “cause al te rn ati ve ”: un fulmine, il maltempo, il peso dei new-jersey, una bobina d’acciaio caduta da un camion (un ex consulente di Spea evocò persino un attentato terroristi­co). Ancora di recente i consulenti di Aspi hanno sollevato dubbi su un carroponte, montato da una ditta esterna. Partendo da questo presuppost­o, la nuova consulenza difensiva vira però su due famiglie di “difformità” tra il progetto di Morandi e “l’as built”. La prima riguarda alcune cavità trovate nel sarcofago che conteneva i cavi primari, responsabi­li della tenuta del ponte: i cavi avrebbero dovuto essere annegati nel calcestruz­zo, e così protetti dalla corrosione, ma il processo di iniezione non andò come previsto. In corso d’opera furono inseriti materiali di riempiment­o non previsti – come la juta – e alcuni cavi non vennero avvolti in guaine protettive. “La modifica del sistema di rivestimen­to dei cavi primari – annotano i consulenti – certamente doveva essere approvata da Morandi (...) Malgrado ciò, in nessuno degli articoli pubblicati sul ponte, neppure in quelli successivi alla sua costruzion­e, tale difformità (...) è stata citata”.

C’È POI

un secondo scostament­o rilevante dal progetto: alcuni cavi finirono “ammassati” per il cedimento delle griglie progettate per contenerli durante il montaggio. “Il collasso delle griglie e la presenza della cavità – concludono i consulenti – erano certamente noti sia agli operai (...) a pochi centimetri dalla cavità, sia al capo cantiere, che non poteva non esserne edotto. I periti indicano che il difetto era probabilme­nte noto al direttore di cantiere e al direttore lavori; nulla è noto con certezza sulla conoscenza del difetto da parte del progettist­a, il professor Morandi, anche se va osservato che nella sua deposizion­e, l’ingegnere Emanuele Codacci Pisanelli ha riferito che l’ingegner Cherubini lo informava di tutto quanto avvenisse in cantiere”.

La nuova consulenza, c’è da scommetter­ci, provocherà un acceso dibattito. Non solo nella comunità scientific­a, dove Morandi ha ancora tanti allievi ed estimatori, anche in aula. Ed è probabile che accusa e parti civili andranno a battere su una parte che la consulenza sembra sorvolare in modo disinvolto: basta un difetto struttural­e per cancellare la responsabi­lità della concession­aria privata, accusata di aver ignorato 40 anni di allarmi, effettuato controlli insufficie­nti e inadeguati, e di essersi arricchita tagliando le spese di manutenzio­ne?

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FOTO LAPRESSE La tragedia dell’agosto 2018 Le case evacuate della zona rossa sotto al ponte: i morti furono 43

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