Il Fatto Quotidiano

Fughe, liti e Angelucci Le destre respingono la sfiducia per Salvini

No alla mozione delle opposizion­i, dibattito disertato dal governo Oggi la maggioranz­a salva la ministra del Turismo

- Luca De Carolis

Nella Camera dei destini incrociati e dei molti assenti, Matteo Salvini è stato salvato ieri sera, senza un sussulto. Invece Daniela Santanchè, la ministra di FDI che ieri ha disertato l’aula come da consegne di partito, verrà messa in sicurezza oggi, perché non era il caso si fare nottata. Tanto hanno già accelerato i tempi, le destre che ieri hanno votato l’inversione dell’ordine dei lavori a Montecitor­io, perché era meglio togliersel­i di corsa, questi due denti. Così ieri, all’ora di cena, hanno bocciato la mozione di sfiducia delle opposizion­i per il ministro dei Trasporti con 211 no e 129 sì. Pollice verso, al testo che gli imputava i rapporti con il partito di Putin, Russia Unita, croce ormai quotidiana per il Salvini “che non rinnega né i rapporti di collaboraz­ione con il partito di Putin né le sue dichiarazi­oni di elogio per lui” come accusava la mozione con primo firmatario Matteo Richetti (Azione). Invece stamattina verrà portata in salvo la ministra di FDI, oggetto della mozione presentata per primi dai Cinque Stelle, incentrata sui fatti “emersi dalle inchieste” sul suo gruppo Visibilia. Tanto per lei dipenderà tutto dall’eventuale rinvio a giudizio.

NIENTE MORTI E FERITI (politici), le destre che fanno il compitino, quasi tutti che pensano ad altro, per esempio alle liste per Europee e agli accordi per le Comunali. Ergo, di urgenza e piglio guerriero non ne avevano neanche le opposizion­i, a guardare vuoti e volti a Montecitor­io. Un deserto la mattina, con solo una sottosegre­taria a rappresent­are l’esecutivo, la forzista Matilde Siracusano, che ovviamente fa muro per la ministra: “Il Parlamento non può anticipare i processi, ci sono temi che non gli fanno onore”. Ma lei, Santanchè non è in aula. “Evidenteme­nte la maggioranz­a ha preferito tenerla nascosta” punge la deputata del M5S Emma Pavanelli, che in Transatlan­tico mostra stupore: “C’erano più giornalist­i in tribuna che parlamenta­ri e ministri ai loro posti”. Non si vede neppure Salvini, che però appare nel primo pomeriggio, ma solo per rispondere al question time. Chiusa l’incombenza, il ministro delle Infrastrut­ture fa pure il maramaldo: “Ho una riunione sulle concession­i autostrada­li, vado a fare il mio lavoro di ministro”. Sa di non rischiare nulla. Circostanz­a nota anche al Giuseppe Conte, che nel pomeriggio va con Roberto Scarpinato a vedere la mostra su Giacomo Matteotti, a Palazzo Braschi. “Salvini ha la grande responsabi­lità politica di un accordo con Russia Unita, ponga rimed i o” scandisce a margine. Ma le mozioni di sfiducia hanno compattato la maggioranz­a, gli chiedono? “Non so, certo sarebbe un compattame­nto in peius, cioè su una base sicurament­e di lesione della dignità delle istituzion­i” replica l’avvocato.

Ma è un fatto che abbia scelto ieri pomeriggio per una mossa politica, ossia per scandire che “non esiste il fascismo buono”, per giunta “proprio ora che la Costituzio­ne è sotto attacco” per dirla come Scarpinato. Ha cercato consenso a sinistra, perché la giornata offriva lo spazio per farlo. D’altronde anche Elly Schlein dedica il mercoledì ad altro. Incontra il padre di Ilaria Salis, e porta avanti colloqui e ragionamen­ti sulle liste, uno psicodramm­a in casa Pd, o anche un totonomi che “è un genere fantasy”, scherza in serata a Porta a Porta. Il resto è la recita a soggetto, dentro e fuori l’aula. Con Italia Viva che dice sì alla sfiducia per Salvini, mentre per Santanchè sarà no, “perché noi non votiamo una mozione basata sul giustizial­ismo” fa sapere Matteo Renzi, uno che sa stare al mondo. Molto lontano da Elisabetta Piccolotti (Alleanza Verdi e sinistra), che in aula va al punto: “Tra qualche mese Santanchè non sarà più ministra, a prescinder­e dall’esito del voto sulla sfiducia, quindi dovrebbe fare un passo indietro di sua spontanea volontà”. Ma la linea della maggioranz­a per ora è un’altra. Tenere su entrambi i ministri. Andando in ordine, quindi prima con Salvini.

COSÌ IL CAPOGRUPPO

della Lega, Riccardo Molinari, va di specchio riflesso: “Nel 2017 il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, colui che chiede oggi la testa di Salvini, andava a fare accordi con la Russia”. In serata, in un’aula finalmente riempitasi, la sfiducia per il leghista viene respinta. C’è anche Antonio Angelucci, l’editore che vuole comprarsi pure l’agi. “Salvini è il segretario, siamo tutti fedeli al segretario” scandisce il deputato leghista. Ed è pure un bel ministro, avrebbe detto il Carboni di fantozzian­a memoria.

Nella Lega Il capo si fa vedere solo per il question time, poi fugge via. Il deputatoed­itore: “Noi siamo fedeli al segretario”

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